Cooperazione internazionale per lo sviluppo: il sistema europeo

Il presente articolo è parte di un doppio approfondimento volto a delineare le coordinate dei sistemi italiano ed europeo di cooperazione internazionale per lo sviluppo. Per comprendere pienamente le finalità perseguite da questa peculiare branca della politica estera occorre, infatti, conoscerne preliminarmente i riferimenti storici e normativi.

Le origini della cooperazione allo sviluppo a livello comunitario risalgono alla conclusione dei Trattati di Roma, nel 1957, la cui Parte IV disciplinava l’associazione dei Paesi e Territori d’oltremare (PTOM) alla costituenda Comunità Economica Europea (CEE), con lo scopo di promuoverne lo sviluppo economico, intensificando i legami commerciali con i colonizzatori di un tempo. Venne poi stipulata, nel 1958, la Convenzione di applicazione relativa all’associazione dei PTOM alla CEE, istitutiva del Fondo Europeo di Sviluppo (FES), che rappresenta ancora oggi il principale strumento finanziario della cooperazione europea allo sviluppo.

In seguito, sulla scorta della nuova sensibilità suscitata dalla grande ondata di decolonizzazione degli anni Sessanta, fu sottoscritta la Convenzione di Yaoundé, firmata nella capitale del Camerun, il 20 luglio 1963, dai Paesi della CEE e dagli Stati africani e malgascio associati (SAMA). Successivamente rinnovata nel 1969, essa ha segnato il passaggio da una association octroyée a una association négociée, in cui le relazioni eurafricane non erano più disciplinate da un atto unilaterale dei Paesi europei, bensì da un trattato fondato sul diritto internazionale.

Il tema dell’associazionismo con i Paesi extraeuropei tornò in auge nella prima metà degli anni Settanta, come conseguenza dell’ingresso britannico nella CEE. Il Regno Unito, interessato a mantenere i propri legami con il Commonwealth, ottenne che al trattato di adesione venisse annesso un protocollo con cui la Comunità invitava alcuni Paesi del Commonwealth a negoziare accordi di associazione o accordi commerciali. Parallelamente, si andava formando un Gruppo di 46 Stati indipendenti, comprendente nazioni dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, con l’obiettivo di negoziare con la CEE in maniera unitaria ed efficace. Tale raggruppamento, noto come Gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), costituito da Paesi che in precedenza avevano operato in tre organismi distinti (SAMA, OUA e Commonwealth), venne istituzionalizzato e si diede una struttura permanente con l’Accordo di Georgetown, firmato il 6 giugno 1975. Dopo intense trattative, fu sottoscritta la Convezione di Lomé, firmata il 28 febbraio 1975 nella capitale del Togo, con cui l’associazione veniva estesa a 46 Paesi ACP, tra cui molte ex colonie britanniche. La Convenzione di Lomé, rinnovata diverse volte prima di essere sostituita dall’Accordo di Cotonou, ha disciplinato il partenariato tra la CEE (in seguito Unione Europea) e il Gruppo degli Stati ACP tra il 1975 e il 2000.

L’Accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno 2000 nello Stato africano del Benin e non più in vigore dal febbraio 2020, ha sostituito la Convenzione di Lomé e disciplinato per venti anni il partenariato tra l’Unione Europea (UE) e il Gruppo degli Stati (ACP). La conclusione dell’accordo ha rappresentato l’ultima tappa in ordine di tempo nelle relazioni tra l’Unione Europea e questo variegato insieme di Paesi extraeuropei, legati al Vecchio Continente da un fitto intreccio di relazioni post-coloniali. L’Unione, naturalmente, non rivolge le proprie politiche di cooperazione esclusivamente al Gruppo degli Stati ACP. Attualmente, infatti, essa opera in circa 160 Stati in tutto il mondo, concentrandosi sui Paesi che aspirano ad aderire all’UE, sui Paesi del suo vicinato orientale e meridionale, sull’Asia e sull’America latina.

Nel 2005, è stato raggiunto il Consenso europeo sullo sviluppo, dichiarazione congiunta del Consiglio, del Parlamento e della Commissione europea che definisce il quadro dell’azione dell’Unione e degli Stati membri in materia di politiche di sviluppo. Nella prima parte, in Consenso precisa gli impegni e gli obiettivi, in linea con quelli dei Millennium Development Goals (MDG), che singoli governi e UE sono tenuti a osservare. Nella seconda parte, definisce le modalità per la realizzazione della politica di sviluppo da parte della Commissione europea. Nel giugno 2017, l’Unione e gli Stati membri hanno sottoscritto un nuovo Consenso europeo sullo sviluppo, un piano strategico volto a definire il futuro della politica europea di sviluppo e ad allinearne gli obiettivi con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nelle Nazioni Unite. I leader europei hanno ribadito il proprio impegno, riconoscendo la necessità di un approccio olistico, che comprenda ogni ambito della cooperazione allo sviluppo, sostenendo l’importanza di integrare l’impiego di aiuti di tipo tradizionale con altre risorse e, infine, favorendo la realizzazione di partenariati più mirati.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel 2009, il quale ha conferito all’Unione Europea personalità giuridica, consentendole di esprimersi all’unisono anche nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, senza impedire ai singoli Stati membri di portare avanti le loro politiche nello stesso ambito, a ciascun governo è stato richiesto di coordinare le proprie politiche generali con quelle dell’Unione Europea. La cooperazione allo sviluppo, infatti, rappresenta una competenza concorrente parallela dell’UE: la politica dell’Unione coesiste con quella dei suoi Stati membri, senza che l’esercizio delle competenze nazionali venga limitato da quello operato in ambito sovranazionale, con l’unico limite, come già accennato, di un coordinamento generale nell’azione esterna. Il livello di cooperazione è tale che le agenzie di sviluppo degli Stati membri spesso attuano i programmi finanziati dall’UE.

Attualmente, le prescrizioni normative che costituiscono la base giuridica della politica europea di cooperazione allo sviluppo sono le seguenti:

  • articolo 21, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione Europea (TUE), per quanto attiene al mandato generale e ai principi guida nell’ambito della cooperazione allo sviluppo dell’Unione Europea;
  • articolo 4, paragrafo 4, e articoli da 208 a 211 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE);
  • articoli da 312 a 316 TFUE, per le questioni di bilancio;
  • Accordo di Cotonou, per quanto riguarda gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), e vari accordi di associazione bilaterali (a norma dell’articolo 217 TFUE).

Dal punto di vista istituzionale, infine, gli organi dell’Unione che si occupano della politica di cooperazione allo sviluppo sono il Parlamento e il Consiglio europeo, i quali, ai sensi dell’art. 209 del TFUE, sono competenti ad adottare le misure necessarie per l’attuazione di tale politica, nonché la Commissione europea, che si occupa della sua gestione concreta. Da ricordare, inoltre, due importanti novità introdotte dal TFUE: la figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, che ha il compito di guidare la politica estera dell’Unione Europea e vigilare sulla coerenza dell’azione esterna, e la creazione del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), la cui gestione ricade sotto l’autorità dell’Alto Rappresentante, il quale si avvale di tale servizio per l’elaborazione di proposte relative alla politica estera dell’Unione e per l’attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio in quest’ultimo ambito. Il SEAE può anche essere messo a disposizione del Presidente del Consiglio europeo, del Presidente della Commissione e delle altre Commissioni per questioni relative alla politica estera dell’Unione.

L’Unione Europea rappresenta, con i suoi Stati membri, il principale donatore di aiuti allo sviluppo nel mondo, con un contributo pari a 75,2 miliardi di euro a favore dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) nel solo 2019, un dato in crescita rispetto al 2018. Il settore della cooperazione assumerà progressiva importanza in futuro: per rispondere alle grandi sfide che attendono l’Italia, l’Europa e, in definitiva, l’intero pianeta – lotta al cambiamento climatico e gestione dei flussi migratori in primis – ci sarà bisogno di un’importante collaborazione tra gli Stati più sviluppati e quelli ancora in via di sviluppo. La leadership assunta dall’Unione nell’ambito della cooperazione, secondo tale prospettiva, è sintomatica della consapevolezza della necessità di non farsi trovare impreparati e di cominciare a investire oggi, secondo una precisa e strutturata strategia, per limitare la portata di danni futuri.

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