La definizione dei valori che tutelano la libertà e la dignità degli esseri umani, e la loro articolazione giuridica, è un percorso tortuoso, irto di difficoltà, che da sempre segue diverse direttrici. La questione dei diritti umani nell’Unione europea rimane di strettissima e di drammatica attualità. Da una parte possiamo vantare di importanti obiettivi raggiunti in termini di riconoscimenti, tutela e strumenti di garanzia.
Dall’altra, è anche importante riconoscere i limiti di questo percorso e ammettere che alcuni diritti rischiano di rappresentare promesse non mantenute, tra tutti la tutela della dignità della persona, la libertà, l’autodeterminazione e l’inclusione culturale e di genere. La possibilità che questi riconoscimenti avvengano necessita di particolari condizioni, sociali, normative, organizzative, che vengano prima di tutto definite e poi difese.
Nello specifico, la riflessione sullo status dei soggetti con maggiori vulnerabilità [dal lat. vulnerabĭlis, der. di vulnerare «ferire»] [1] consente di cogliere il problema cruciale dei diritti umani nell’epoca contemporanea, della loro effettività e del loro riconoscimento [2].
GRUPPI VULNERABILI
Definire chi sono le persone vulnerabili, e identificarne uno specifico quadro giuridico, è difficile per la natura frammentata della loro condizione. Come viene affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), non vi è infatti una descrizione univoca, ma di volta in volta si individuano fattori – intrinsechi, ma anche esterni (elementi legati al contesto che comportano una maggiore esposizione al rischio di pregiudizio) – che determinano la vulnerabilità di un individuo [3].
Dal canto suo, i giudici della Corte di Strasburgo conferiscono la condizione di vulnerabilità a diverse categorie di individui, tra questi bambini, profughi, rifugiati, richiedenti asilo, disabili, anziani, malati, persone senza fissa dimora, donne e carcerati [4].
Il presente elaborato vuole fornire spunti di indagine e di approfondimento intorno allo stato dei diritti umani, assumendo come punto di vista quello dei soggetti deboli e vulnerabili, nello specifico del ruolo e della condizione delle donne provenienti da contesto migratorio, costrette ad affrontare barriere strutturali determinate dal loro essere donne e straniere. Assumendo una prospettiva di genere si coglierà la specificità dell’esperienza migratoria femminile nel mercato del lavoro, con particolare riferimento al quadro sociale e normativo dell’Unione europea [5].
ALCUNI DATI
Secondo i dati Eurostat [6], nel 2020 l’UE ha registrato circa 1,9 milioni di ingressi provenienti da paesi fuori dall’area Schengen (il 30% in meno rispetto all’anno precedente). La migrazione femminile, nello specifico, rappresenta circa il 45% di tutta la popolazione straniera presente. Nel mercato del lavoro europeo il tasso di occupazione femminile è ancora una volta inferiore a quello maschile. Si tratta di un fenomeno difficile da osservatore e quantificare, tanto da impedire spesso la possibilità di godere dei diritti fondamentali, della mobilità all’interno del mercato del lavoro e la possibilità di un avanzamento di carriera. Il 26% delle donne migranti [7] svolge lavori poco qualificati (sono principalmente impegnate nel commercio, nei servizi alla persona, di assistenza e di cura) e precari, con il rischio di rimanere disoccupate un giorno e non avere accesso al Trattamento di Fine Rapporto (TFR) o alla sicurezza sociale.
Lo stato di impiego delle donne migranti riflette dunque la loro posizione svantaggiata nel mercato del lavoro. Essere una donna straniera rappresenta un doppio svantaggio, dettato da una parte dal genere, e dall’altra dalla condizione di straniere. A causa di ciò, vi è spesso il rischio di rientrare nelle categorie NEET (not in employment, education, or training)[8]. Le donne possono anche essere sovra qualificate per il loro lavoro, con conseguente eventualità che le loro competenze perdano di valore.
Le donne migranti spesso sono anche “oggetto di gravi discriminazioni in quanto individui che dipendono dallo stato giuridico del coniuge”. Secondo il rapporto “Second European union minorities and discrimination survey”, pubblicato dall’European Union Agency for Fundamental Rights, particolarmente esposte a questa condizione sono le giovani ragazze costrette a emigrare a causa di conflitti, disastri naturali, persecuzioni, ricongiungimenti famigliari.
La disuguaglianza di genere diventa dunque fattore comune sia nei paesi di origine, sia in quelli di accoglienza. Tale condizione di alienazione dal mondo del lavoro può avere effetti a lungo termine spesso severi. Per questo motivo, nella ricerca di azioni concrete di riduzione delle disuguaglianze, è fondamentale tenere in considerazione la vulnerabilità vissuta dalle donne straniere. Difficilmente politiche e misure focalizzate potranno avere successo se non si adotta un approccio su larga scala che vada ad affrontare contemporaneamente il duplice problema migrazione/genere [9].
SUL PIANO INTERNAZIONALE
La mancanza di una prospettiva di genere nelle politiche di migrazione, asilo e integrazione può avere effetti devastanti sulle donne straniere. Tra le principali misure adottate a livello internazionale non possiamo non citare la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), adottata nel 1979 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ed entrata in vigore nel 1981. Al suo interno si distingue la Raccomandazione Generale n. 26. Tale prescrizione “mira ad approfondire le circostanze che contribuiscono alla specifica vulnerabilità di molte donne lavoratrici migranti e le loro esperienze di discriminazione basate sul sesso e sul genere in quanto causa e conseguenza delle violazioni dei loro diritti umani”. “Sebbene la migrazione presenti delle nuove opportunità per le donne e può essere un mezzo per la loro empowerment economica attraverso una più ampia partecipazione, può anche mettere in pericolo i loro diritti umani e la loro sicurezza”.
Diversi sono i fattori che determinano la vulnerabilità delle donne migranti: il rischio di subire violenze e abusi, il rischio di essere oggetto di tratta e sfruttamento, le disuguaglianze di sesso e genere, la mancanza di un potere decisionale. L’insieme di queste variabili vedono negare alla donna migrante la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
L’uguaglianza di genere, inoltre, risulta essere tra gli obiettivi principali per raggiungere uno sviluppo sostenibile a livello globale – secondo quanto delineato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite – e “per non lasciare indietro nessuno”. Nello specifico, l’obiettivo n. 5 (che mira a “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”) è strettamente legato all’obiettivo n. 8 – e nello specifico l’8.8 – volto a “proteggere i diritti del lavoro e promuovere ambienti di lavoro sicuri e protetti per tutti i lavoratori, compresi i lavoratori migranti e in particolare le donne migranti”.
Fondamentale in questo discorso è il Global Compact per le Migrazioni – adottato nel 2017 – che costituisce una vera e propria opportunità mondiale per una governance comune delle migrazioni. All’interno del documento sono infatti delineate leggi, politiche e progressi in materia di migrazione volte a promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le donne.
SUL PIANO EUROPEO
Sul piano europeo, l’assenza di un accordo vincolante e unanime ha spinto alla creazione di una politica di integrazione dei migranti attraverso una serie di soft laws. Ne ricordiamo alcuni: Common Basic Principles for Immigrant Integration Policy in the EU (2004 e 2014); European Agenda for the Integration of Third-Country Nationals (2011); Action plan on the integration of third-country nationals (2016); New Pact on Migration and Asylum (2020).
È tuttavia importante sottolineare che la politica di integrazione rimane di competenza degli stati membri e l’Ue può agire solo in funzione di supporto (con piani, linee guida, programmi che sostengano iniziative).
Nel discorso delle donne lavoratrici migranti rilevante è la Proposta di Risoluzione (2006/2010) del Parlamento europeo sull’immigrazione femminile, e nello specifico sul ruolo e sulla condizione delle donne immigrate nell’Unione Europea. Si tratta di un vero e proprio mosaico di regolamenti che nell’insieme ha formato una cornice coerente, ma a livello sociale ancora frammentata.
Durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato il 16 settembre 2020, Ursula Von der Leyen ha affermato le seguenti parole: “Garantiremo che le persone che hanno il diritto di rimanere siano integrate e si sentano accolte. Queste persone devono costruirsi un futuro e hanno competenze, energia e talento”.
Uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione europea è quello di evitare lo sfruttamento delle donne straniere nel mercato del lavoro e impedirne l’esclusione sociale. Proteggere i diritti delle donne e delle ragazze migranti, rifugiate e richiedenti asilo è infatti il nuovo obiettivo strategico del lavoro del Consiglio d’Europa volto a promuovere l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne nell’ambito della Strategia per la parità di Genere 2018-2023 [10].
Determinanti in questo quadro sono inoltre i progetti finanziati dall’Unione, volti a favorire:
- L’integrazione sociale: progetti educativi e di formazione per informare le donne sui loro diritti, insegnare la lingua, rafforzare le competenze – e quindi ottenere maggiori opportunità lavorative – e per costruire una rete sociale.
- L’integrazione al mercato del lavoro: attraverso la definizione di un reddito stabile e regolare, per essere indipendenti da qualsiasi forma di sfruttamento del lavoro e di esclusione sociale.
- L’accesso ai diritti: misure attente alla dimensione di genere e capaci di supportare la partecipazione e l’inclusione delle donne migranti nella società europea.
Fondamentale in questo processo è anche il Piano di Azione per l’Integrazione e l’Inclusione 2021-2027 che, rispetto al piano d’azione approvato nel 2016, tiene in considerazione le esigenze specifiche di vari gruppi, tra cui le donne provenienti da contesto migratorio.
Attraverso l’adozione di azioni trasversali (nell’ambito dell’istruzione, della salute, della ricerca di un alloggio e di lavoro), il nuovo approccio è volto a “offrire a tutti pari opportunità di godere dei propri diritti e di partecipare alla vita sociale e comunitaria, indipendentemente dal contesto di provenienza e in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali”.
Ciò “significa anche rispettare i valori europei comuni sanciti dai trattati dell’UE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tra cui la democrazia, lo Stato di diritto, la libertà di parola e di religione, nonché il diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione. Questi valori fondamentali sono una parte essenziale della vita e della partecipazione alla società europea”.
CONCLUSIONI
La politica dell’UE per lo sviluppo e la coesione sociale deve dunque prevedere efficaci misure di accoglienza e di integrazione degli stranieri e in particolare delle donne. L’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro costituisce un vero e proprio investimento sociale ed economico in grado di rendere l’Unione europea più coesa, resiliente e prospera. Tale processo è tuttavia a doppio senso in quanto “presuppone tanto la disponibilità delle donne migranti ad assumersi la responsabilità dell’integrazione nella società d’accoglienza, quanto la disponibilità dei cittadini dell’UE ad accettare e integrare le migranti” [11].
[1] “Vulneràbile in Vocabolario – Treccani.” In Treccani.it, 2022, www.treccani.it/vocabolario/vulnerabile/.
[2] Abrisketa, J., et al. Human Rights Priorities in the European Union’s External and Internal Policies: An Assessment of Consistency with a Special Focus on Vulnerable Groups. 2015, https://www.fp7-frame.eu/wp-content/uploads/2016/08/24-Deliverable-12.2.pdf.
[3] “Sul Concetto Di “Vulnerabilità” Secondo La Corte Di Giustizia UE | DPU | Diritto Penale E Uomo.” DPU | Diritto Penale E Uomo, 2019, https://dirittopenaleuomo.org/contributi_dpu/sul-concetto-di-vulnerabilita-secondo-la-corte-di-giustizia-ue/.
[4] De Giuli, A. Diritto Penale E Uomo (DPU) – Criminal Law and Human Condition, 20122 MILANO (MI)
[5] Cfr. “Migration.” European Institute for Gender Equality, EIGE, 21 Apr. 2021, https://eige.europa.eu/gender-mainstreaming/policy-areas/migration
[6] “Migration and Migrant Population Statistics – Statistics Explained.” Europa.eu, 2020, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Migration_and_migrant_population_statistics
[7] Eurostat. “Women in the Labour Market by Birth Country.” Europa.eu, Eurostat, 8 Mar. 2022, https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-eurostat-news/-/edn-20220308-2
[8] EU-MIDIS II Second European Union Minorities and Discrimination Survey Migrant Women – Selected Findings. https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2019-eu-midis-ii-migrant-women_en.pdf
[9] “How Migration Is a Gender Equality Issue.” Unwomen.org, 2020, https://interactive.unwomen.org/multimedia/explainer/migration/en/index.html
[10] “Migrant and Refugee Women and Girls.” Gender Equality, 2014, https://www.coe.int/en/web/genderequality/migrant-and-refugee-women-and-girls
[11] “Sull’immigrazione Femminile: Ruolo E Condizione Delle Donne Immigrate Nell’Unione Europea.” Europa.eu, 2013, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-6-2006-0307_IT.html