La responsabilità degli Stati nel cambiamento climatico e la crisi ecologica globale. Identificazione dei profili di responsabilità comune. (Parte I)

Abstract

Il contrasto al cambiamento climatico rappresenta un punto fermo dell’agenda politica internazionale evoluta nel corso dei decenni dalla firma dei primi trattati internazionali fino all’accordo di Parigi del 2015. L’articolo, strutturato su due uscite separate, si interroga sul concetto della responsabilità del danno climatico, circostanziando dapprima la nozione di questione climatica, attraverso un’introspettiva finalizzata alla definizione del limine territoriale imputabile al danno ambientale. Quindi, il contributo sottolinea come sia specificamente necessaria l’adozione di misure di mitigazione stringenti al fine di ridurre le emissioni di GHG ed, infine, attraverso questo filo conduttore analizza il concetto di “giustizia climatica” individuando, nella recente belligeranza russo-ucraina, le conseguenze di un peggioramento delle condizioni necessarie per attuare il contrasto al cambiamento climatico.

1. Introduzione. Posologia del “cambiamento climatico”

Stefano Mancuso in La Nazione delle piante, rievoca l’immagine dell’Apollo 8 in orbita attorno la luna «[…] i primi fortunati mortali a poter osservare il lato nascosto del nostro satellite e rimanere incantati davanti allo spettacolo della terra che sorge […] un mondo azzurro e verde, con nuvole bianche che ne intessono delicatamente l’intera superficie. Quella foto chiamata dal suo autore Earthrise […] cambiò per sempre la nostra idea della terra, rivelandoci un pianeta di maestosa bellezza, ma anche fragile e delicato. Una colorata isola di vita in un universo per il resto vuoto e buio».

La rievocazione dalla quale prendiamo le mosse rimarca l’idea e la sensazione di un Pianeta inviolato, selvaggio, del quale sono state sfruttate tutte le specie di risorse naturali esistenti, depauperando ogni genere di ecosistema ed esponendo al rischio di estinzione ogni genus evoluto in milioni di anni di vita.

La questione climatica tratteggia una realtà dalle conseguenze economiche e sociali potenzialmente catastrofiche, che risponde al più importante bisogno di un’immediata azione comune. In dettaglio, l’analisi degli elementi che contraddistinguono la questione climatica determinano la strutturazione di un fenomeno complesso per l’antica origine del concetto medesimo, per gli intrecci della laconica politica del diritto ed anche per la divergenza tra il complesso degli eventi che legano la condotta climalterante al danno climatico e agli effetti negativi da questo derivanti.

La definizione de qua permette di poter circoscrivere il contrasto al cambiamento climatico come un’«azione comune» senza cui, in primis, risulta impossibile definire una disciplina giuridica prodromica al contrasto del cambiamento climatico.

Un’«azione comune» ha come obiettivo coinvolgere tutti gli individui della società, molteplici attori con consapevolezze e responsabilità differenti, quindi garantire che si producano effetti realmente tangibili e si traducano nella riduzione del rischio di danno climatico e la relativa riduzione degli effetti negativi strettamente connessi.

Le politiche di mitigazione danno piena coscienza di ciò che riguarda la questione climatica che si caratterizza per aspetti che la contraddistinguono dalla questione ambientale.

La prima comprende il rischio di un danno all’ambiente di tipo globale, biosferico e non localizzato, i cui effetti negativi sono invero localizzabili, ma il danno che ne consegue è transnazionale poiché rappresenta un insanabile stravolgimento dell’equilibrio climatico. La seconda, invece, rimane circoscritta, al livello causa-effetto, ad un ambito territoriale definito. Questo enunciato, poiché postula un problema di portata comune per il genere umano, introduce al concetto dell’unitarietà d’azione .

Le questioni ambientali, invece, riguardano delle porzioni più o meno ampie di territorio che subiscono delle modifiche antropiche e prese nel loro insieme determinano il danno ambientale tale da rendere impossibile una loro stringente distinzione.

2. L’antropocene in uno Stato moderno: strumenti di contrasto.

L’apparato giuridico internazionale, concretizzato a seguito della stipula di alcuni trattati (Stoccolma 1972, Rio 1992, 2012, 2015, 2019) è strutturato su di una architettura che è manchevole di una visione “ecologica”, focalizzata sulla soddisfazione strumentale degli interessi umani e discostata dal “deficit ecologico” e dai “confini planetari”, limiti entro cui il Pianeta non può più tollerare le attività antropogeniche.

In tal senso, il Protocollo di Kyoto, attraverso la postuma introduzione del meccanismo della tassazione ambientale, individua uno strumento economico-fiscale finalizzato a ridurre e prevenire l’inquinamento derivante da Greenhouse Gases (GHG).

Il sistema dell’European Emission Trading System (EU-ETS), che regola lo scambio di quote di emissioni al fine di ridurre le esternalità negative nel contesto europeo ha determinato, dall’inizio del periodo di “rodaggio” (2005-2007), una riduzione di queste, comunque, al di sopra dei limiti previsti dagli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

In definitiva la lotta al cambiamento climatico non può definirsi per il tramite di politiche scevre da fondamentali adeguamenti alle comuni abitudini individuali. Sia singolarmente, sia globalmente risulta necessaria l’adozione di una «coscienza comune» basata sulla volontà di guidare le politiche economiche attraverso provvedimenti che mirano al raggiungimento di target di lungo periodo.

Le valutazioni qui definite sottendono al binomio uomo-ambiente per cui l’effetto dell’insensibilità che si evince nel considerare l’ambiente come lo strumento asservito agli interessi della persona, piuttosto che renderlo un diritto fondamentale ed inerente alla dignità umana, viola sistematicamente i postulati cardine posti a tutela della vita.

In tal senso, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), sebbene la mancanza di un’autonoma disciplina di un diritto all’ambiente, attraverso gli articoli fondamentali posti a tutela dei diritti dell’uomo ha definito una vera giurisprudenza ambientale.

Nonostante l’orientamento giuridico indirizzato al criterio della environmental justice e della salvezza del genere umano per il tramite di politiche mitigative e preventive il danno ambientale, è evidente la pressante connotazione antropocentrica del contrasto al cambiamento climatico. Non a caso, nell’ultimo decennio, le politiche mitigative e di contrasto al cambiamento climatico si sono intrecciate nelle c.d. Climate Change Litigation che affrontano la crisi climatica responsabilizzando i singoli Stati per non aver prodotto risultati capaci di rispettare le obbligazioni climatiche assunte nel contesto internazionale (il Protocollo di Kyoto, l’Accordo di Parigi). La tendenza avviata determina l’affermarsi di nuovi diritti e, in un percorso che attraversa tutti gli ordinamenti nazionali e sovra-nazionali, conduce alla nascita di una nuova concettualizzazione del diritto al clima.

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