In Europa, dopo decenni di apparente pace ininterrotta, è tornata la Guerra, e insieme ad essa, l’UE è tornata ad interrogarsi sulle proprie capacità di difendersi da minacce esterne in maniera autonoma.
L’Unione Europa è chiamata a dover agire in uno scacchiere internazionale sempre più complesso, dove l’utilizzo della forza non si può più escludere. Nel determinare il proprio futuro, l’Europa deve superare determinati ostacoli interni e necessita di una ridefinizione dei rapporti di forza con i suoi maggiori alleati, la Nato e gli Stati Uniti, in ottica di un’autonomia strategica o di un maggior peso decisionale nel contesto dell’alleanza transatlantica per essere maggiormente padrona del proprio destino.
La difesa comune europea e la sua problematica realizzazione
Di difesa comune europea se ne parlava già all’indomani della Seconda guerra mondiale, quando Francia, Italia e Germania Ovest guardavano al futuro in un’ottica di cooperazione tra Stati, sia a livello economico che politico e militare. Tuttavia, il progetto della EDC (European Defence Community), organismo previsto dalla firma di un Trattato da parte dei sei Paesi fondatori della CECA, fallì a causa della mancata ratifica in Parlamento da parte della Francia nel 1954.[1] Il Trattato prevedeva la creazione di un esercito europeo con comando supremo affidato alla Nato e la reintegrazione della Germania Ovest nel concerto europeo di difesa. A distanza di decenni, la gestione della difesa europea rimane uno dei temi più controversi. Se da un lato la presenza della Nato e degli Stati Uniti rappresentano ancora dei deterrenti da aggressioni dirette, dall’altro il progressivo disimpegno nordamericano (negli ultimi tre anni, USA e Canada hanno diminuito il loro contributo economico, passando dal 28,5% al 23%)[2] deve essere un campanello d’allarme per Bruxelles.
Per raggiungere la tanto discussa autonomia strategica la strada è ancora lunga e piena di ostacoli. D’altronde l’Europa è un’continente che, esclusa per motivi politici la Russia al di qua degli Urali, si estende da Lisbona fino agli inizi dell’Altopiano Sarmatico nei Paesi Baltici in Ucraina ed arriva ai confini col Medio Oriente. Di conseguenza, le priorità strategiche e la percezione delle minacce esterne varia da Stato a Stato.
L’UE è dotata di una propria linea di politica estera espressa dal CSDP (Common Security and Defence Policy) e delle tante agenzie come l’EDA (European Defence Agency), nella quale la coordinazione, la cooperazione e le capacità di sviluppo sono monitorate e portate avanti da nuovi strumenti creati appositamente. Tra questi troviamo il CARD (Coordinated Annual Review on Defence) che si pone il fine di favorire una graduale sincronizzazione e un reciproco adattamento dei cicli di pianificazione della difesa nazionale e delle pratiche di sviluppo delle capacità, e il PESCO (Permanent Structured Cooperation) che offre un quadro giuridico per pianificare, sviluppare e investire congiuntamente in progetti di capacità condivisi e migliorare la prontezza operativa e il contributo delle forze armate. Questi strumenti sono co-finanziati dall’EDF (European Defence Fund) il cui punto di riferimento centrale è il CDP (Capability Development Plan).[3]
Tuttavia, pur svolgendo missioni civili e militari di peacekeeping, prevenzione di conflitti, aiuto umanitario e protezione dei diritti umani,[4] l’autonomia strategica ancora non è stata raggiunta.
In quest’ottica, l’UE ha pubblicato nel 2016 la strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europa, ponendo le basi anche per la creazione degli strumenti appena menzionati.
Le dichiarazioni dell’allora Amministratore Delegato dell’Agenzia europea per la difesa Jorge Domecq fanno da cassa di risonanza su questo tema:
È ora che noi europei, ma anche i nostri partner transatlantici, affrontiamo l’autonomia strategica con uno spirito più costruttivo e con pragmatismo. […] L’autonomia strategica presuppone almeno due condizioni. Innanzitutto, che le nostre forze armate abbiano a propria disposizione la gamma completa delle risorse militari che, nel loro insieme, permettono all’Unione Europea di intraprendere azioni militari autonomamente. In secondo luogo, che il funzionamento e l’utilizzo di tali risorse non siano limitati da nessun tipo di avvertimento politico o tecnologico imposti da attori non europei.[5]
Domecq evidenzia, inoltre, il bisogno di sviluppare un’industria che metta a disposizione tutte le risorse possibili. Ciò è fattibile solo attraverso una strategia di produzione industriale per la difesa, che l’UE ha cominciato a sviluppare tramite l’EDIP. L’EDIP (European Defence Industrial Plan) ha l’obiettivo di colmare il gap esistente tra le misure d’emergenza applicate nel sostegno all’Ucraina e la pianificazione a lungo termine, favorendo quest’ultima e incrementando la sicurezza e la prontezza delle risorse europee. Tuttavia, i finanziamenti a disposizione sono solo 1,5 miliardi di euro, provenienti dal budget europeo per il periodo 2025-27.[6]
Banco di prova per l’Unione Europea è proprio la guerra in Ucraina, campo di battaglia in cui gli equilibri regionali e internazionali sono in gioco e dove l’Europa si è schierata al fianco di Kiev. Il supporto fornito fin qui dagli Stati europei è sintomo di divisioni interne tra chi vorrebbe fare di più e chi invece, sentendosi meno coinvolto o per evitare destabilizzazioni interne, spinge sul freno quando si tratta di migliorare la qualità degli approvvigionamenti. Le motivazioni dietro i diversi approcci dei singoli Stati sono di carattere politico, economico e militare. Sul piano politico l’UE deve affrontare congestioni interne provenienti dai gruppi politici dei singoli Stati membri, come nel caso della Slovacchia o dell’Ungheria, restie a mettere le necessità europee di fronte a quelle nazionali.[7]
Emblematico è il veto, imposto del presidente ungherese Orban, al finanziamento di 50 miliardi di euro per l’Ucraina, provenienti dal bilancio UE. L’ostacolo è stato superato solo dopo che il Presidente ungherese ha ottenuto la garanzia che i fondi europei destinati al proprio paese (6 miliardi di euro attualmente congelati) non saranno inviati a Kiev.
La “cacofonia strategica” si riflette inevitabilmente sia sulle opinioni pubbliche dei singoli Stati, che percepiscono le varie minacce esterne in maniera differente, sia sugli apparati governativi e sui loro piani a lungo termine riguardanti le spese militari (dando precedenza a strategie nazionali sconnesse dal contesto europeo nell’insieme), mettendo così a rischio la possibilità di adottare un piano d’azione comune e coordinato.[8]
Causa scatenante, oltre a fattori storici e geografici in base ai quali uno Stato dell’Europa Meridionale è più interessato a ciò che accade nel Mar Mediterraneo rispetto a ciò che accade alla frontiera orientale, è stata l’assenza, dal 1991 fino al 2014, anno dell’annessione russa della Crimea, di una minaccia “convenzionale” rilevante. Non avere uno Stato da cui difendersi, e di conseguenza non sentire la necessità di prepararsi ad un eventuale confronto diretto, ha permesso all’Europa Occidentale, soprattutto grazie alla garanzia americana, di vivere decenni di relativa tranquillità, spostando l’attenzione verso minacce meno convenzionali, una su tutte il terrorismo islamico.[9]
Oggi, con una guerra alle porte dell’Europa e con una Russia che occupa il 20% del territorio ucraino, queste lacune e divergenze sono venute a galla. L’atteggiamento ambivalente di due dei Paesi del “Triangolo di Weimar” ovvero Germania e Francia (il terzo è la Polonia) è significativo in tal senso. In occasione del vertice dello scorso 15 marzo, i leader dei rispettivi Paesi, nel ribadire il continuo sostegno a Kiev, hanno stabilito una serie di priorità che includono l’acquisto di armi a lungo raggio sul mercato mondiale e un supporto nella produzione di armamenti tramite lo Uaf (Ukraine assistance facility, a sua volta incorporato nello European Fund for Peace)[10] per un totale di 5 miliardi di euro. L’obiettivo è non lasciare che Mosca vinca la guerra e allo stesso tempo non provocare un’escalation, perché “è altrettanto chiaro che non siamo in guerra con la Russia”.[11]
Il portavoce dello European External Action Service, Peter Stano ha dichiarato:
La posizione dell’Unione Europea è chiara dall’inizio della guerra, dobbiamo sostenere l’Ucraina per vincere questa guerra di difesa. La maniera e la forma del sostegno specifico militare è una decisione autonoma di competenza sovrana degli Stati membri. [. . .] non c’è alcuna decisione a livello UE sull’invio di truppe per rafforzare l’esercito ucraino.[12]
Il Cancelliere tedesco Scholz, in perenne conflitto con il Ministro degli Esteri Annalena Baerbock riguardo l’invio dei missili a lungo raggio Taurus (500km di gittata, abbastanza per potenzialmente colpire Mosca), ha affermato che mirare al cuore della Russia non è un’opzione per la Germania poiché ciò metterebbe una croce definitiva sul rapporto con la potenza eurasiatica, già deteriorato dall’attentato al gasdotto Nord Stream 2, investimento da 12 miliardi di euro, 6 per parte, che oramai è solo un “grosso tubo di ferro in fondo al mare”.[13] Inoltre, Scholz ha già subito un grave danno d’immagine dopo l’intercettazione, pubblicata dal canale televisivo Russia Today, di una conversazione tra ufficiali della Bundeswehr sui possibili attacchi al ponte di Kerč’, da effettuare usando proprio i Taurus. Questo episodio ha messo in imbarazzo la Germania e ha alimentato l’idea che dietro gli attacchi ucraini alle infrastrutture russe ci siano ufficiali tedeschi.[14]
In generale, emergono indecisioni, incomprensioni e visioni contrastanti che mettono in risalto le vulnerabilità europee e restituiscono un’immagine di un’alleanza comprensibilmente preoccupata da un’escalation che potrebbe essere scatenata da un maggiore coinvolgimento nel conflitto.[15]
I sopracitati rappresentano casi di cacofonia strategica sia nel singolo Stato che tra uno o più entità statali. La problematica comune è l’inabilità di far pendere l’ago della bilancia verso l’integrazione europea nella difesa, così da poter porre le esigenze nazionali in secondo piano e creare un sentimento che spinga sia i cittadini che le singole classi politiche ad abbracciare ogni minaccia alla stabilità regionale, da nord a sud e da est a ovest, come la propria. Compattarsi all’interno per avere più peso all’esterno: questo è l’unico modo per essere un attore centrale in uno scacchiere internazionale in forte movimento.
Uscendo dall’Ucraina, c’è il conflitto israelo-palestinese, dove l’Europa non ha preso una posizione precisa, venendo accusata di doppio standard. Infatti, oltre a riaffermare il diritto all’autodifesa di Israele e a sottolineare il bisogno della creazione di corridoi umanitari per i civili di Gaza, non si è raggiunta una posizione comune per chiedere un cessate il fuoco (chiesto solo da Francia, Spagna, Belgio e Irlanda).[16]
Al netto di quanto verrebbe presa in considerazione, una tale proposta, con Israele che irrita persino la Casa Bianca a causa della durezza dei suoi attacchi sui civili palestinesi, manderebbe comunque un messaggio di coesione in nome dei principi fondanti dell’UE . L’invito alla compattezza è stato reiterato in una lettera del Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel in vista dell’ultimo consiglio d’Europa svoltosi tra il 21 e il 22 marzo. I punti cardine del messaggio riguardano un cambiamento di paradigma in una situazione d’urgenza e un possibile passaggio a un’economia di guerra, per spendere di più, in maniera più efficiente e abbattere le barriere che impediscono una cooperazione su vasta scala. Agire con il fine di contrastare “la più grande minaccia alla sicurezza dai tempi della Seconda guerra mondiale”.[17]
Il ruolo degli Stati Uniti e della Nato nel sistema di difesa europeo
Riprendendo le parole di Jorge Domecq, l’auspicio è che, in futuro, l’impiego di risorse militari non dovrà essere soggetto a limitazioni imposte da attori non europei. Al desiderio di autonomia è affiancata la strettissima cooperazione e la complementarità con la Nato, riaffermata ad inizio 2023 tramite una dichiarazione congiunta[18]. Ovviamente, se si parla della Nato bisogna fare i conti con il suo maggiore finanziatore: gli Stati Uniti. È proprio dal futuro ruolo di Washington, in relazione sia all’UE che all’alleanza atlantica, che l’Europa dovrà costruire il proprio futuro in ambito strategico, per non farsi cogliere alla sprovvista da un possibile disimpegno americano. Nel 2023, il budget degli USA riservato alla difesa era di 860 miliardi di dollari, dieci volte di più della Germania (secondo maggior finanziatore dell’alleanza)[19], e in generale un budget molto maggiore di tutti gli Stati membri messi insieme (sempre nel 2023 gli USA hanno speso un totale di ben 905 miliardi di dollari, più del doppio di tutti gli altri membri messi insieme, ovvero 397 miliardi)[20]. Solo guardando a queste cifre è chiaro perché sia Biden che Trump vogliono che l’Europa faccia di più.
Inoltre, ad oggi solo dieci Paesi Nato superano il totale di spesa del 2% del PIL,[21] linea guida dell’alleanza, ai quali si è recentemente aggiunta proprio la Germania, tornata a superare questa soglia per la prima volta dai tempi della Guerra fredda.[22]
L’insoddisfazione americana, il pivot to Asia e lo spettro di un’amministrazione Trump 2.0 sono alcuni dei motivi che potrebbero spingere l’America a disimpegnarsi dal Vecchio Continente. La politica dell’isolazionismo permea il pensiero politico statunitense da secoli.
Già George Washington, nel suo discorso d’addio del 1796, descrisse le ingerenze americane negli affari europei poco sagge e suggeriva di rimanerne fuori, pur volendo mantenere legami commerciali. [23]
Solo quando ciò che succedeva in Europa e nel mondo ha minacciato direttamente il suolo americano, come nel caso dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, allora gli americani sono entrati in gioco. Dopo la Prima guerra mondiale però, gli USA si sono tirati indietro sia dalla Società delle Nazioni che da qualsiasi impegno post-bellico in Europa. Nel periodo tra le due guerre, mentre in Europa salivano al potere regimi fascisti e nazisti e si alzavano venti di guerra, Gli Stati Uniti vivevano uno dei periodi più bui della propria storia. Questo li spinse, col benestare della popolazione, a isolarsi dal mondo esterno e a rimanere neutrali, decidendo anche di non vendere armi a nessun Paese (Neutrality Act del 1935)[24], lasciando l’Europa in balia dei nazionalismi.
Oggi la situazione presenta delle similitudini. Alla luce del grande sostegno dato da Washington all’Ucraina (74 miliardi di dollari nel 2022)[25] e con una sostanziale parte di opinione pubblica che vede ancora benefici nelle alleanze europee, soprattutto tra i democratici,[26] il coinvolgimento americano in Europa passa dalle proprie dinamiche interne. Ciò è evidente dal fatto che da dicembre 2023 fino a pochi giorni fa, il Senato, a maggioranza Repubblicana, ha bloccato un pacchetto di aiuti all’Ucraina di diversi miliardi, vincolandolo ai problemi al confine col Messico, al secondo posto dopo l’inflazione e la crisi immobiliare nelle preoccupazioni degli elettori in vista delle elezioni di novembre.[27]
In questi mesi di stallo sembravano esserci stati momenti in cui un accordo bipartisan sarebbe stato trovato, garantendo misure più restrittive al confine e allo stesso tempo fornendo assistenza all’Ucraina, ad Israele e agli alleati americani nell’Indo-Pacifico. L’accordo raggiunto è stato poi stracciato dai Repubblicani in Senato a causa dell’ostruzionismo dell’ex Presidente Trump, il quale usa la questione immigrazione come cavallo di battaglia per screditare Biden nella corsa alla presidenza.[28]
Dopo mesi che hanno visto la situazione sul campo virare in favore della Russia, il Senato ha votato, e la maggioranza per sbloccare questi fondi è stata ottenuta. Il pacchetto di aiuti prevede 60 miliardi di dollari per l’Ucraina, 26 miliardi per Israele e per gli aiuti umanitari ai civili di Gaza e 8 miliardi per l’Indo-Pacifico.[29] Nessuna menzione di misure restrittive riguardanti il confine col Messico ma l’America doveva far passare un messaggio, ovvero che lei non abbandona i propri alleati.
Il passo falso americano ha fatto luce sulle carenze produttive dell’industria bellica europea. L’UE infatti non è riuscita ad inviare, come aveva promesso, un milione di proiettili all’Ucraina entro marzo 2024.[30] Per sopperire a queste mancanze l’UE ha cominciato ad acquistare proiettili sul mercato mondiale, seguendo la proposta del presidente della Repubblica Ceca, portata avanti durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco dello scorso marzo.[31]
Tornando a Trump, il miliardario newyorkese ha dichiarato che incoraggerebbe la Russia ad attaccare quei Paesi Nato che non superano la soglia del 2% del PIL.[32]
Secondo l’erronea interpretazione dell’ex Presidente, che già nel 2017 aveva riservato parole poco lusinghiere verso i membri europei dell’alleanza, gli stessi membri hanno degli obblighi contrattuali da rispettare nei confronti degli Stati Uniti e dell’alleanza stessa. Tuttavia, la soglia del 2% è solamente una linea guida, non sussiste nessun tipo di obbligo, e i soldi spesi non devono essere trasferiti su nessun conto, bensì è il singolo Stato che li spende per la propria difesa.[33]
La realtà è che, già prima dell’insediamento alla Casa Bianca di Trump nel 2016, l’Europa ha aumentato le spese militari per la Nato in risposta all’annessione russa della Crimea, arrivando ad un incremento dell’8,3% nel 2023.[34]
Al netto delle sue parole e delle simpatie per la destra conservatrice russa, la lezione da imparare per l’Europa è che affidarsi al Presidente americano di turno non è la strada giusta. Se non Trump, un suo possibile erede potrebbe portare avanti la stessa linea. L’UE necessita quindi di un piano B, poiché non può aspettarsi che qualcun altro sia pronto a farsi carico delle proprie questioni per sempre.[35]
L’America attualmente considera la Cina un motivo di preoccupazione maggiore rispetto alla Russia, come emerge sia dai sondaggi che dai cambiamenti nell’establishment americano.[36] Tra quest’ultimi spiccano le dimissioni di Victoria Nuland dalla carica di Sottosegretario di Stato per gli affari politici (seconda carica più importante nel Dipartimento di Stato). Victoria Nuland è stata la più attiva sostenitrice e la principale artefice della politica estera americana in Ucraina a partire dalle proteste di Piazza Maidan del 2014 fino ad oggi.[37] La newyorkese è stata sostituita da Kurt Campbell, già Vice Assistente e coordinatore per gli Affari dell’Indo-Pacifico al Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca[38].
Quest’anno cade il 75° anniversario dell’alleanza atlantica e stiamo forse cominciando a vedere una Nato più europea. L’entrata nell’alleanza di Finlandia e Svezia e l’annuncio di Stoltenberg sull’aumento della spesa complessiva sono già avvenimenti significativi. L’obiettivo è far raggiungere a 18 Paesi su 32 una spesa equivalente o superiore alla soglia del 2% del PIL, per un totale di 380 miliardi di euro.[39]
Accanto alla minaccia russa sul fianco orientale, una maggiore cooperazione europea nell’ambito della Nato deve essere raggiunta per quanto riguarda il suo fianco meridionale. L’instabilità nel Medio Oriente e nel Nord Africa si riflette inevitabilmente sull’Europa per quanto riguarda l’immigrazione, aumentata da 189,620 immigrati nel 2022 a 286,122 nel 2023. Con la guerra in Ucraina e l’abbandono del gas russo, l’Europa ha diversificato le proprie fonti di approvvigionamento energetico, acquistando gas principalmente da Libia, Arabia Saudita e Algeria. Di conseguenza, è nell’interesse degli Stati europei che le tratte marittime del Mar Mediterraneo, attraverso le quali passa il 15% del commercio mondiale, siano messe in sicurezza. Ultimo, ma non meno importante, è il contrasto all’attività del gruppo Wagner, compagnia militare privata che risponde al Cremlino, ancora attiva in Mali, Sudan e Libia nonostante la morte dei leader Prigožin e Utkin. In questo caso, i Paesi maggiormente interessati al rafforzamento del fianco sud sono l’Italia e la Spagna. Durante la conferenza stampa svoltasi a margine dell’ultimo summit della Nato a Vilnius, la premier Giorgia Meloni ha evidenziato la necessità di adottare una strategia comune per il fianco sud nel 2024. Gli obiettivi includono l’aumentare della cooperazione con gli attori regionali nello scambio e nel raccoglimento di intelligence, incrementare gli sforzi nell’ambito dell’operazione Sea Guardian, lanciata nel 2016, e rafforzare la cooperazione con quei partner regionali aderenti sia al Dialogo Mediterraneo (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Marocco e Tunisia) che all’Iniziativa per la cooperazione di Istanbul (Bahrein, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar).[40] Il coordinamento Nato-UE sarà sicuramente fondamentale per lavorare verso un Mar Mediterraneo più sicuro.
Nel contesto dell’autonomia strategica europea, la Nato è un elemento fondamentale con il quale la CSDP deve inevitabilmente collaborare e dal quale per adesso non può prescindere in quanto è l’attore primario in tema di difesa. Se allora la cooperazione con un’alleanza guidata da un’entità extra-UE rimane il fulcro della difesa europea, cosa vuol dire autonomia strategica? Se l’UE dovesse in futuro essere capace di provvedere a sé stessa e di creare un sentimento comune che vada oltre la geografia e le percezioni e di possedere una capacità industriale e strategica adatta a soddisfare i propri bisogni, a cosa servirebbe un’alleanza parallela che svolge le stesse funzioni, ma la cui guida suprema guarda prima a ciò che succede in casa propria e poi a ciò che succede in Europa?.
Nel corso degli ultimi anni si sono avvicendate varie proposte e i protagonisti sono stati sempre i Paesi del Triangolo di Weimar. Il neoeletto Macron nel 2017 propose la creazione di un esercito europeo, ovviamente a guida francese, per poter totalmente sostituire la Nato e gli USA. Successivamente la Polonia, tramite il Ministro degli Affari Esteri Radoslaw Sikorski, propose la creazione di una Legione Europea col fine ulteriore di rafforzare il Paese nella gestione degli affari europei. Infine, la Germania ha presentato l’idea di un esercito comune europeo, integrato nelle istituzioni europee, basato sugli eserciti nazionali e l’appartenenza alla Nato.
Anche oltreoceano si discute sul bisogno di lasciare più autonomia all’Europa. I sostenitori di questa tesi portano avanti la convinzione che essa sia capace di difendersi da sola, grazie alle sue capacità produttive, all’esperienza acquisita nel tempo e alla possibilità di acquisto di armi di ultima generazione (dagli USA). Questa ipotesi porterebbe beneficio ad entrambi, con Washington che lascerebbe perfino il comando supremo della Nato a un comandante europeo (mantenendo un minimo di truppe sul continente) per potersi concentrare sul contenimento della Cina, a cui dovrebbe aderire anche l’Europa. Tradotto, si tratta di una maggiore divisione dei compiti.[41]
In conclusione, la tanto desiderata ma anche tanto divisiva autonomia strategica passa sia da dinamiche interne all’UE ma anche inevitabilmente dalle decisioni di attori esterni: le imminenti elezioni europee, che vedono la predominanza dei gruppi politici di tendenza nazionalista e spesso antieuropeista[42]; la guerra in Ucraina e il suo esito che, seppur ancora incerto, vede di fatto la Russia aver annesso a sé stessa le regioni più produttive di un Paese candidato all’UE e alla Nato; le priorità degli Stati Uniti e lo scontro globale con la Cina.
Dall’attuale disordine mondiale uscirà un nuovo ordine mondiale. Perciò l’Europa dovrà fare introspezione e capire il ruolo che vuole avere e come svolgerlo, se da semplice alleato di una potenza maggiore o da fulcro centrale di ciò che accade sul proprio territorio.
[1] European Defence Agency, Inception 1947-1955, Our History,
https://eda.europa.eu/our-history/our-history.html
[2] ISPI, Europa quanto costa difenderla? ,23.02.24,
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/europa-quanto-costa-difenderla-164501
[3] European Defence Agency, EU Defence Initiatives,
https://eda.europa.eu/what-we-do/EU-defence-initiatives
[4] European External Action Service, EU Security, Defence and Crisis Response, What we do: policies and actions, 24.08.2021,
https://www.eeas.europa.eu/eeas/what-we-do-policies-and-actions-0_en
[5] J. Domecq, Strategic Autonomy calls for more cooperation, less rhetoric, “European Defence Matters”, issue 18, 2019, pp. 28-31,
https://eda.europa.eu/docs/default-source/eda-magazine/edm18-magazine.pdf
[6] European Commission, EDIP, The Future of Defence,
https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/edip-future-defence_en
[7]AP News, Hungary, Slovakia remain opposed to sending any arms to Ukraine to fight Russia’s invasion, 21.03.24,
https://apnews.com/article/czech-slovakia-hungary-poland-arms-ukraine-7e982a83cba428b9b967c8dd8d26fd31
[8] S. Monhagan, Solving Europe’s Defense Dilemma: Overcoming the Challenges to European Defense Cooperation, Center for Strategic and International Studies, 1.03.24,
https://www.csis.org/analysis/solving-europes-defense-dilemma-overcoming-challenges-european-defense-cooperation
[9] S. G. Brooks, H. Meijer, Illusions of Autonomy: Why Europe Cannot Provide for Its Security If the United States Pulls Back, “International Security”, Vol.45, Issue 4, 2021, pp. 7-43,
https://direct.mit.edu/isec/article/45/4/7/100571/Illusions-of-Autonomy-Why-Europe-Cannot-Provide
[10]S. De La Feld, L’Ue trova l’accordo a 27 per altri 5 miliardi in aiuti militari all’Ucraina, “eunews”, 14.03.24,
https://www.eunews.it/2024/03/14/ue-5-miliardi-ucraina-aiuti-militari/
[11] F. Baccini, Il ‘Triangolo di Weimar’ tra Scholz, Tusk e Macron riparte dal sostegno “unanime” a Kiev. Anche sulle armi, “eunews”, 15.03.24, https://www.eunews.it/2024/03/15/ucraina-sostegno-triangolo-weimar/
[12] F. Baccini, Macron non sta trovando appoggio all’ipotesi di inviare soldati Nato in Ucraina contro l’esercito russo, “eunews”, 27.02.24, https://www.eunews.it/2024/02/27/macron-invio-soldati-nato-ucraina-russia/
[13] Ansa, Ucraina: Usa, il gasdotto Nord Stream 2 è morto, 9,03.22, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/03/08/ucraina-usa-il-gasdotto-nord-stream-2-e-morto_c3a5dd15-b4b0-4d70-a622-cc5863737a19.html
[14] Il Post, In Russia è stata pubblicata l’intercettazione di una riunione di ufficiali tedeschi, 3.03.24, https://www.ilpost.it/2024/03/03/russia-intercettazione-germania/
[15] O. Goncharenko, Western weakness in Ukraine could provoke a far bigger war with Russia, “Atlantic Council, 7.04.24, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/western-weakness-in-ukraine-could-provoke-a-far-bigger-war-with-russia/
[16] E. Joyner, Why the EU can’t agree on an Israel-Hamas cease-fire in Gaza, “Deutsche Welle”, 13.11.23,
https://www.dw.com/en/why-the-eu-cant-agree-on-an-israel-hamas-cease-fire-in-gaza/a-67390578
[17] C. Michel, Invitation letter by President Charles Michel to the members of the European Council, “European Council of the European Union, 19.03.24,
[18] Euronews, Nato-Ue, sottoscritta una nuova dichiarazione congiunta, 10.01.23,
https://it.euronews.com/my-europe/2023/01/10/nato-ue-sottoscritta-una-nuova-dichiarazione-congiunta
[19] M. Lu, Breaking Down $1.3T in NATO Defense Spending, “Visual Capitalist”, 23.02.24,
https://www.visualcapitalist.com/breaking-down-1-3t-in-nato-defense-spending/
[20] A. Rocha, M. E. O’Hanlon, What’s in Biden’s $850-billion defense budget proposal?, “Brookings”, 15.03.24, https://www.brookings.edu/articles/whats-in-bidens-850-billion-defense-budget-proposal/#:~:text=U.S.%20versus%20global%20military%20spending,NATO%20spends%20(%24397.7%20billion).
[21] Defence Expenditure of Nato Countries (2014-2023), 7.07.23, https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2023/7/pdf/230707-def-exp-2023-en.pdf
[22] A. Ratz, Germany hits 2% NATO spending target for first time since end of Cold War, “Reuters, 14.02.24, https://www.reuters.com/world/europe/germany-hits-2-nato-target-first-time-since-1992-reports-dpa-2024-02-14/
[23] R. Longley, The Evolution of American Isolationism, “ThoughtCo”, 16.04.22,
https://www.thoughtco.com/the-evolution-of-american-isolationism-4123832
[24]United States Holocast Memorial Museum, Washington,DC, The United States: Isolation-Intervention, “encycolpedia.us”, 4.08.22, https://encyclopedia.ushmm.org/content/en/article/the-united-states-isolation-intervention
[25] J. Masters, W. Merrow, How Much Aid Has the U.S. Sent Ukraine? Here Are Six Charts, “Council on Foreign Relations”, 23.02.24,
https://www.cfr.org/article/how-much-aid-has-us-sent-ukraine-here-are-six-charts
[26] D. Smeltz, Americans Continue to See Benefits from US Alliances, “Council on Global Affairs”, 4.10.23, https://globalaffairs.org/research/public-opinion-survey/americans-continue-see-benefits-us-alliances
[27] K. Phares, Inflation and the Economy Consistently Rank as Top Issues Among Likely Voters — and Here’s Our New Way To Ask Issue Importance, “Data For Progress”, 6.03.24,
https://www.dataforprogress.org/blog/2024/3/6/inflation-and-the-economy-consistently-rank-as-top-issues-among-likely-voters-and-heres-our-new-way-to-ask-issue-importance
[28] L. Desjardins, What’s in the Senate’s sweeping $118 billion immigration and foreign aid bill?, “PBS News”, 6.02.24,
https://www.pbs.org/newshour/politics/whats-in-the-senates-118-billion-border-and-ukraine-deal
[29] L. Gambino, Joan E. Greve, US Senate passes $95bn in aid for Ukraine, Israel and Taiwan, “The Guardian”, 24.04.24, https://www.theguardian.com/us-news/2024/apr/23/senate-aid-bill-ukraine-israel-taiwan
[30] S. De La Fed, L’Ue rivede gli impegni sulla consegna di un milione di munizioni all’Ucraina. Entro marzo saranno al massimo 530 mila, “eunews”, 31.1.24,
https://www.eunews.it/2024/01/31/ue-consegna-munizioni-ucraina-530-mila/
[31] V. Melkozerova, Czechs raise funds to buy 800,000 artillery shells for Ukraine, “Politico”, 7.03.24, https://www.politico.eu/article/czechia-crowdfunds-enough-money-in-eu-and-beyond-to-buy-800000-artillery-shells-for-ukraine/
[32] E. Helmore, Trump says he would encourage Russia to attack Nato allies who pay too little, “The Guardian”, 11.02.24,
https://www.theguardian.com/us-news/2024/feb/11/donald-trump-says-he-would-encourage-russia-to-attack-nato-countries-who-dont-pay-bills
[33] D. Dale, Fact check: Debunking five false Trump claims about NATO, “CNN”, 13.02.24, https://edition.cnn.com/2024/02/13/politics/fact-check-trump-nato/index.html
[34] Nato Defence Expenditure (2014-2023),
https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2023/7/pdf/230707-def-exp-2023-en.pdf
[35] M. Karnitschnig, Donald Trump just did Europe a favor, “Politico”, 13.02.24,
https://www.politico.eu/article/donald-trump-just-did-europe-a-favor/
[36] A. Brar, Most Americans Name China as US’s ‘Greatest Threat’—Poll, “Newsweek”, 30.11.23, https://www.newsweek.com/china-survey-raegan-institute-threat-global-1848279
[37] G. Gaiani, Le dimissioni di Victoria Nuland confermano il disimpegno degli USA dal conflitto ucraino?, “AnalisiDifesa”, 11.03.24, https://www.analisidifesa.it/2024/03/le-dimissioni-di-victoria-nuland-confermano-il-disimpegno-degli-usa-dal-conflitto-ucraino/
[38] L. Romano, Chi è Kurt Campbell, esperto di Cina e prossimo vice di Blinken,” formiche” 2.11.23, https://formiche.net/2023/11/kurt-campbell-vice-segretario-di-stato-usa/#content
[39] V. Genovese, Nato, 18 Stati membri spenderanno per la difesa il 2% del Pil nel 2024, “Euronews”, 14.02.24,
https://it.euronews.com/my-europe/2024/02/14/nato-18-stati-membri-spenderanno-per-la-difesa-il-2-del-pil-nel-2024
[40] J. Davidson, NATO should be ambitious with its new Southern Flank Strategy, “Atlantic Council”, 1.02.24, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/nato-should-be-ambitious-with-its-new-southern-flank-strategy/
[41] M. Boni, Gli Stati Uniti e il dibattito sull’autonomia strategica dell’Europa, “AnalisiDifesa”, 13.07.21,
https://www.analisidifesa.it/2021/07/gli-stati-uniti-e-il-dibattito-sullautonomia-strategica-delleuropa/
[42] K. Cunningham, S. Hix, S. Dennison, I. Learmonth, A sharp right turn: A forecast for the 2024 European Parliament elections, “European Council on Foreign Relations”, 23.01.24,
https://ecfr.eu/publication/a-sharp-right-turn-a-forecast-for-the-2024-european-parliament-elections/