Nel corso degli anni, la tutela ambientale ha visto un crescente rilievo nell’alveo delle priorità dell’Unione Europea (UE), sino a divenire uno dei settori core per l’attività politica, legislativa ed economica dell’agenda comunitaria.
Prima che la Commissione europea, guidata da Ursula Von Der Leyen, presentasse il suo ambizioso Green Deal (per maggiori informazioni sul tema, si rinvia agli articoli presenti sul sito OGIE), ciò era desumibile soprattutto dai consideranda del preambolo del Trattato sull’Unione Europea (TUE), in cui si parla espressamente di «promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell’ambiente», nonché da quanto previsto dagli artt. 3[1], par. 3, e 21, lett. f)[2] TUE. La necessità di tutela dell’ambiente non venne fin da subito vista con serio impegno dagli Stati membri (e, in parte, per alcuni di essi non lo è neanche oggi, se non nei proclami), al punto che il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) non attribuiva alcuna competenza alla CEE in tale settore. Ciò va anche letto in ragione del contesto storico in cui avvenne la firma del Trattato di Roma: non va, infatti, dimenticato che lo scopo principale in quegli anni era la ricostruzione post-bellica e il tentativo di “attrarre e imbrigliare” la Germania Ovest, al fine di scongiurare il pericolo di un suo possibile riarmo. È opportuno rilevare, inoltre, come che la Comunità stessa fosse stata pensata come una entità di carattere prevalentemente economico.
Bisognò attendere gli anni ’70 affinché, a livello legislativo, ci si iniziasse ad interessare al tema ambientale. È del 1971 la prima Comunicazione[3] che stabilì che la protezione e il miglioramento dell’ambiente facevano già parte delle competenze della CEE, rientrando esplicitamente nei suoi obiettivi. Ciò venne anche ribadito nel Vertice di Parigi del 1972, che si occupò di definire gli ambiti di azione della Comunità. Fu, però, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE)[4], a fornire una base giuridica generale che desse gli strumenti alla Comunità per legiferare in materia ambientale ex artt. 100 e 235 del Trattato CEE.
Il passo successivo fu l’introduzione del principio di tutela dell’ambiente all’interno dei Trattati, dapprima con l’Atto Unico Europeo (AUE) – entrato in vigore nel 1987, dedicando un intero Titolo a tale materia (VII°) – e, poi, con il Trattato di Amsterdam (1999) e con il Trattato di Nizza (2003). L’opera è stata completata dal Trattato di Lisbona (2009), che ha ripreso quanto disposto dai precedenti Trattati e dato espresso rilievo al tema dei cambiamenti climatici.
Cosa dicono i Trattati?
Con specifico riguardo al quadro normativo vigente, un’analisi delle politiche UE in materia di ambiente non può che soffermarsi su quanto disposto dagli artt. 191, 192 e 193 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e dai principi in essi contenuti. L’art. 191 (ex articolo 174 TCE) si preoccupa di fissare, anzitutto, gli obiettivi in materia ambientale e di porre in risalto la tutela della salute, in combinato disposto con l’art. 168 TFUE. Con esso viene anche introdotto il principio della razionalizzazione delle risorse, circostanza che può essere vista come una vera e propria svolta: mai, infatti, era stata accordata una rilevanza giuridica di così alto grado a tale principio. Con tale disposizione, inoltre, viene attribuito all’Unione anche un ruolo di promotore verso l’esterno della sostenibilità ambientale.
Estremamente rilevante risulta essere l’introduzione dei principi di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento, nonché quello del «chi inquina paga»: nello specifico, se i primi due seguono la c.d. logica better safe than sorry, i restanti si fondano su quella dell’end of pipe. Tali principi, invero, non sono una novitas giuridica, data la loro previsione a partire dall’Atto Unico Europeo, all’interno del quale non era, però, presente quello di precauzione.
Quest’ultimo, infatti, è stato enunciato solo sei anni dopo (nel 1992), quale n. 15 della Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo, il quale prevede che «gli Stati adotteranno ampiamente un approccio cautelativo in conformità alle proprie capacità» in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indichi che vi siano ragionevoli motivi di temere possibili effetti nocivi sull’ambiente. Di conseguenza, anche in presenza di eventuali incertezze sull’esistenza e sulla portata dei possibili rischi, possono essere adottate misure di protezione dell’ambiente senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva sussistenza e la gravità di tali rischi.
La CGUE è intervenuta sul punto, stabilendo che, se persiste la probabilità di un danno per la salute pubblica, anche se è impossibile da determinare con certezza l’esistenza o la gravità dei rischi, il principio di precauzione consente l’applicazione di misure restrittive. Nella fase applicativa del principio medesimo, sarà necessario avvalersi di dati scientifici e statistiche che risultino quantitativamente e qualitativamente validi, al fine di effettuare una corretta valutazione dei rischi e delle ripercussioni nell’ipotesi di mancato intervento, avendo sempre cura di rispettare i principi di proporzionalità e non discriminazione.
Un altro principio cardine dell’azione dell’Unione, e spesso richiamato nelle discipline settoriali, è «chi inquina paga», il quale viene regolato dalla Direttiva 2004/35/CE[5]. Tale fonte legislativa si occupa, tra le altre cose, di fornire alcune definizioni chiave (danno ambientale, danno, specie e habitat naturali protetti, stato di conservazione, acque, emissione, operatore, ecc.), di individuare l’ambito di applicazione del principio oggetto d’analisi, così come di disciplinare le azioni di prevenzione (art. 5) e quelle di riparazione (art. 6). Si tratta di uno degli strumenti attivabili ex post, e dunque quando si debba provvedere alla riparazione di un danno già verificatosi, ponendo in capo al responsabile i relativi costi, anziché farli gravare sulla collettività (e, va da sé, attraverso l’utilizzazione di denaro pubblico).
Si precisi, inoltre, che il principio in esame ha generato non poche difficoltà applicative, sia in merito alla individuazione dell’inquinante, sia riguardo alla “equa riparazione”.
L’art. 192 (ex articolo 175 TCE) definisce, anzitutto, l’iter legislativo da seguire per adottare atti vincolanti in materia ambientale. Essendo prevista la procedura ordinaria, è la Commissione europea ad avere il potere di formulare una proposta, sulla quale sono l’Europarlamento e il Consiglio dell’UE ad essere chiamati a deliberare, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. In deroga a quanto appena illustrato, tuttavia, è fatta salva la possibilità dell’utilizzo della procedura legislativa speciale, che prevede la delibera all’unanimità in alcuni specifici casi[6]. Anche con riferimento a questi ultimi, il par. 2, co. 2, consente la possibilità di avvalersi della procedura legislativa ordinaria, purché si faccia ricorso alla c.d. clausola passerella, e cioè che il Consiglio deliberi con voto unanime, su proposta della Commissione europea e previa consultazione – si noti, non approvazione – dell’Europarlamento, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.
L’articolo si occupa anche di disciplinare la procedura per l’adozione dei Programmi pluriennali di Azione per l’Ambiente (PAA o programmi generali d’azione). Sono il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE a dover deliberare – secondo procedura ordinaria – previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.
Tali PAA caratterizzano, storicamente, il modus operandi dell’Unione in materia ambientale: infatti, muovendo da quanto realizzato nell’ambito internazionale, già dal 1973 la allora Comunità è intervenuta con programmi generali volti a fissare gli obiettivi da raggiungere, nonché gli strumenti per farlo.
Ciò è stato fatto non solo a livello comunitario, ma anche – e soprattutto – a livello degli Stati membri, circostanza che ha consentito di predisporre una ampia rete capillare di provvedimenti di lunga durata che permettono all’UE di essere all’avanguardia nelle politiche di tutela dell’ambiente, nonostante l’esigenza di effettuare ulteriori progressi.
Ad oggi, si attende l’approvazione dell’Ottavo PAA, relativo al periodo 2021-2030, che si prefigge lo scopo di «accelerare, in modo equo e inclusivo, la transizione a un’economia climaticamente neutra, efficiente sotto il profilo delle risorse, pulita e circolare»[7], di concerto con quanto previsto dal Green Deal e dalla United Nations Agenda 2030. Gli obiettivi specifici che il PAA persegue sono sei, e riguardano: la riduzione delle emissioni di gas serra, fino al completo azzeramento nel 2050; consolidamento della resilienza e della riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici; creazione di un modello di crescita rigenerativo che consenta di dare al pianeta più di quanto si preda, accelerando il processo di transizione verso un’economia circolare; perseguire l’obiettivo “inquinamento zero”; proteggere, preservare e ripristinare la biodiversità; promuovere la sostenibilità ambientale e ridurre le pressioni connesse alla produzione e al consumo[8].
L’art. 193 (ex articolo 176 del TCE) stabilisce che, salvo quanto disposto dalla precedente disposizione, gli Stati membri possono adottare e/o mantenere misure ancora maggiori di tutela dell’ambiente, purché esse siano compatibili con i Trattati.
Oggi sono circa 450 gli atti di diritto derivato dell’UE vincolanti in materia ambientale, i quali hanno regolamentato i veri settori della materia, come lo smaltimento dei rifiuti (Direttive 75/442/CEE, 78/319/CEE, 84/631/CEE, 91/689/CEE e 2008/98/CE), l’inquinamento industriale (Direttive 84/360/CEE, 2006/21/CE) o, ancora, la protezione delle acque (Direttiva 91/676/CEE).
Va sottolineato come l’Unione tenda a spingere gli Stati membri ad adottare misure di tutela maggiori, soprattutto nei casi in cui il processo decisionale europeo sembra non riuscire a produrre atti vincolanti efficaci e puntuali. Di conseguenza, purché agiscano nel rispetto dei Trattati, i Paesi UE sono, di fatto, invitati a raggiungere da soli gli obiettivi che l’Unione Europea as a whole non riesce a perseguire.
Note
[1] “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”.
[2] “[…] contribuire all’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile”.
[3] Commissione delle Comunità europee, Prima comunicazione sulla politica della Comunità in materia di ambiente, SEC (71) 2616 def., Bruxelles, 22 Luglio 1971.
[4] Vedi inter alia Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa 240/83, Procureur de la République contro Association de défense des brûleurs d’huiles usagées (ADBHU), sentenza del 7 Febbraio 1985; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa 302/86, Commissione delle Comunità europee contro Regno di Danimarca, sentenza del 20 Settembre 1988; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa 213/86 R., Montedipe SpA contro Commissione delle Comunità europee, sentenza del 24 Settembre 1986.
[5] Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione Europea, Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e e riparazione del danno ambientale, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUUE), n. L 143/56, 47° anno, pp. 56-75.
[6] Art. 192, par. 2, co. 1: “a) Disposizioni aventi principalmente natura fiscale; b) Misure aventi incidenza: sull’assetto territoriale, sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilità delle stesse, sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; c) Misure aventi sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo”.
[7] Art. 1, par. 2, Proposta di Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un programma generale di azione dell’Unione per l’ambiente fino al 2030.
[8] Art. 2, par. 2, Proposta di Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un programma generale di azione dell’Unione per l’ambiente fino al 2030.