Giovedì 4 maggio 2017, l’Aula Magna della sede LUMSA sita in Borgo Sant’Angelo ha ospitato l’incontro con Clemantine Wamariya, storyteller e attivista per i diritti umani, protagonista di un emozionante racconto del suo percorso forzato dal Ruanda agli Stati Uniti.
L’evento, organizzato dal Comitato Area Metropolitana di Roma Capitale della Croce Rossa Italiana e dall’Università LUMSA e supportato dalla U.S. Embassy to Italy, ha visto anche la partecipazione commossa di un nutrito gruppo di migranti, stanziati in alcuni centri d’accoglienza della Croce Rossa a Roma.
Nata a Kigali, in Ruanda, Clemantine aveva sei anni quando il genocidio ruandese ebbe inizio. Secondo i suoi genitori il conflitto sarebbe dovuto essere di breve durata e così fu spedita insieme alla sorella maggiore Claire, di quindici anni, dai nonni in campagna. Non tornarono più a casa e impiegarono dodici anni prima di rivedere i genitori. Claire non abbandonò mai Clemantine, sostenendola giorno dopo giorno. Nei successivi sei anni, vissero in campi profughi tra sette diversi Paesi dell’Africa orientale e meridionale, separate dai loro cari. Nel 2000, tramite l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), giunsero a Chicago. Una volta in salvo, Clemantine avrebbe potuto dimenticare la violenza vista con i suoi occhi da bambina, buttarsi tutto alle spalle, e nessuno l’avrebbe malgiudicata. Ma non l’ha fatto. Ha preso bensì atto di quello che è: una sopravvissuta al genocidio ruandese ed ex rifugiata. E grazie all’odissea vissuta e alle persone che l’hanno aiutata, ha iniziato a combattere contro le ingiustizie, adoperandosi per i poveri e gli emarginati. Ha frequentato l’Università di Yale, dove si è laureata in Letteratura Comparata nel 2013; fa parte del Board di Women for Women International ed è stata nominata nel 2011 dal Presidente Obama nel Consiglio dell’U.S. Holocaust Memorial Museum. È anche un membro del Consiglio di amministrazione presso Refugee Transitions. Negli ultimi otto anni, Clemantine ha condiviso le sue esperienze in numerosi incontri nelle università, nelle scuole superiori e in varie organizzazioni. Ha parlato al pranzo annuale dell’U.S. Holocaust Memorial Museum, alla commemorazione annuale delle Nazioni Unite per il Genocidio Ruandese e alla Conferenza dell’U.S. Department of Homeland Security Human Rights Law Conference. Inoltre è stata ospite del Oprah Winfrey Show quattro volte e recentemente ha partecipato alla Chicago’s Ideas Week Edison Talks e TEDxYale.
A margine dell’evento, grazie alla disponibilità dell’Ambasciata USA in Italia, abbiamo avuto l’onore di incontrare Clemantine, che si è lanciata in una sentita disamina sul ruolo del giornalismo e dei social media, con un occhio di riguardo per i giovani.
“Voi, come giornalisti, avete l’obiettivo della telecamera, avete voce: la gente vi crederà a prescindere da qualsiasi cosa direte. La più grande responsabilità dei media, ed è ciò che vi incoraggio a fare, è essere più umani. Fate un respiro profondo, fate letteralmente un passo indietro, ascoltate gli individui, cercando la pace come fratelli al di là delle categorie sociali. Come fare? I social media sono uno strumento potentissimo, quindi usateli per raccontare delle storie ai vostri coetanei che non sono consapevoli di ciò che avviene nel mondo, che li usano solo per fare selfie. Dobbiamo imparare come si usano i social media per metterci in contatto gli uni con gli altri in un modo in cui non siamo mai stati. Quindi, questo è uno dei miei principali incoraggiamenti ai giovani: noi abbiamo gli strumenti, abbiamo Twitter e Instagram, che sono rispettivamente la nostra bocca e i nostri occhi. Possono essere usati per noi o contro di noi. Dobbiamo renderci conto che si tratta di una semplice scelta: possiamo creare un mondo migliore, un mondo meraviglioso, oppure un mondo falso. E a volte scegliamo questo mondo fittizio, che è rappresentato dai social network, e ci comportiamo di conseguenza: ostentiamo felicità senza chiederci se la proviamo davvero e fingiamo di svolgere attività in cui magari non siamo nemmeno realmente impegnati. Siamo giovani per un tempo limitato, perché quando avremo delle responsabilità, come il pagamento delle tasse e tutto il resto, sarà già troppo tardi. Se non prendiamo l’iniziativa usando gli strumenti che possediamo adesso, tra quindici anni le responsabilità ci avranno schiacciato. Non saremo in grado di prenderci cura delle altre persone, poiché avremo dei figli a cui badare e conti di cui preoccuparci. Al contrario oggi, in quanto ancora sotto l’ala protettiva dei genitori e della nostre rispettive famiglie, possiamo davvero prenderci cura l’uno dell’altro, magari aiutando ad esempio tutte le giovani vittime di discriminazione. Ragazzi provenienti da tutto il mondo hanno bisogno di lavoro, di istruzione, di spazi per crescere, ma chi li circonda fa finta di non vedere.”