È datata 20 agosto 2018 la fondazione del movimento ambientalista che più di tutti ha scosso e indirizzato le coscienze verso un lifestyle rispettoso del pianeta. Fridays for Future e la sua giovane fondatrice Greta Thumberg hanno avuto, infatti, il merito di portare nelle piazze di tutto il mondo milioni di persone, soprattutto giovani, che hanno urlato con forza ai policymaker di agire adesso per contrastare i cambiamenti climatici.
Le azioni, spesso sconsiderate, dell’essere umano hanno comportato notevoli conseguenze: le foreste si diradano; la biodiversità è fortemente minacciata; interi ecosistemi potrebbero cessare di esistere; molte città rischiano di essere sommerse se i ghiacciai continueranno a sciogliersi e qualora non si dovesse invertire questa terribile spirale distruttiva che vede nell’uomo il suo artefice.
Gli accordi di Parigi del 2015 – adottati da tutte le parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e ritenuti, da queste, giuridicamente vincolanti – comprendono obiettivi comuni per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si basano per la prima volta su standard uniformi da applicare a tutti i 196 Paesi firmatari (tra cui l’Italia). Gli accordi sono volti a limitare entro 1,5 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale. Essi mirano, altresì, ad orientare i flussi finanziari privati e pubblici verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra, nonché a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. Tali misure dovrebbero iniziare ad essere applicate a partire dal 2020.
La risposta della Commissione europea
In risposta alle istanze di contrasto ai cambiamenti climatici, lo scorso 17 luglio, nel suo primo discorso davanti al Parlamento europeo, la allora aspirante presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha sorpreso quasi tutti dichiarando: «la nostra sfida più pressante è la salute del pianeta. È la responsabilità più grande e l’opportunità maggiore dei nostri tempi. Voglio che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero del mondo entro il 2050. Per riuscirci, dobbiamo prendere, insieme, misure coraggiose. Il nostro attuale obiettivo – ridurre le nostre emissioni del 40 % entro il 2030 – non è sufficiente». In tal senso, Ursula von der Leyen ha evidenziato la necessità, per l’Unione Europea e per i suoi Stati membri, di adottare provvedimenti senza precedenti in materia ambientale.
L’ex ministro della difesa tedesco ha, infatti, posto tra le priorità assolute del suo mandato in seno alla Commissione europea la spinosa questione del contrasto al cambiamento climatico, lanciando una proposta dal nome chiaramente evocativo: il Green Deal (GD), il quale non difetta certo di ambizione e si propone di fare dell’UE la prima area geografica del pianeta ad “emissioni zero” entro il 2050.
Cosa prevede il Green Deal?
Il piano, ufficialmente presentato a Bruxelles il 14 gennaio scorso, consta di una serie di previsioni di investimento per finanziare la ricerca, la tutela ambientale, la biodiversità e, soprattutto, la transizione energetica e industriale. A tale scopo, secondo le previsioni della Commissione, gli investimenti necessari al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Green Deal ammonterebbero ad “almeno” 1000 mld di euro, da impiegare nella prossima decade. Questa strategia richiederebbe, inoltre, la creazione di un quadro normativo che permetta sia a soggetti pubblici che privati di operare investimenti che vadano tutti nella direzione della sostenibilità, al fine di «garantire una transizione economica, giusta, nonché socialmente equilibrata ed equa».
Per rafforzare il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità già fissati per il 2030, la Commissione prevede di incrementare la quota di investimenti di 260 mld di euro, al fine di finanziare la transizione in settori chiave come quello agricolo, automobilistico, energetico e digitale. Inoltre, verranno stanziati fondi per la cura e il ripristino delle foreste danneggiate dall’azione dell’uomo e per la riforestazione.
Come si legge dalla tabella sovrastante, i fondi arriveranno da diverse voci di bilancio: EU Budget (503 mld), Co-finanziamento nazionale da European Structural Investment Fund (114 mld), InvestEU (279 mld), Just Transition Mechanism (143 mld), Emission Trading Systems (25 mld), per un totale di 1.064 mld. Queste risorse, tuttavia, non sono di nuova emissione, ma provengono da fondi che saranno riconvertiti (in tutto o in parte) allo scopo di finanziare il GD.
A titolo esemplificativo, si pensi al EU Budget. Alcuni dei programmi ad esso associati verranno riconvertiti in quota percentuale:
- LIFE Programme (60%);
- Connecting Europe (60%);
- Politica Agricola Comune (40%);
- Horizon Europe (35%);
- Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (30%);
- Fondi di Coesione (30%).
Sotto il profilo organizzativo, Ursula Von del Leyen ha nominato Frans Timmermans Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, sottolineando l’importanza di una stretta collaborazione con il Parlamento e il Consiglio nell’esercizio della funzione legislativa.
In tal senso, i provvedimenti normativi che meritano di essere menzionati sono la Legge sul Clima e il Fondo per una transizione giusta. L’interesse nei riguardi della prima – per la quale è stata avviata una consultazione pubblica aperta a tutti i cittadini UE – è legato alla circostanza per la quale, benché la produzione normativa in tema di ambiente sia abbastanza florida (si contano circa 490 provvedimenti tra Regolamenti, Direttive e Decisioni), nella legislazione UE manca una legge quadro in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Il 4 marzo scorso, la proposta relativa alla Legge sul clima è stata presentata dalla Commissione; adesso sarà necessario avviare l’iter legislativo che, di certo, farà emergere spaccature e interessi contrastanti in seno alle Istituzioni europee.
La reazione dei movimenti ambientalisti non è stata, però, molto entusiasta: «proposta poco ambiziosa e non in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C», ha dichiarato Legambiente; «quando la tua casa brucia, non aspetti dei giorni prima di spegnere le fiamme. Eppure, è proprio ciò che la Commissione sta proponendo oggi», ha commentato Greta Thunberg di fronte alla Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo. La giovane ambientalista ha poi aggiunto: «non abbiamo solo bisogno di obiettivi per il 2030 o il 2050. Abbiamo bisogno prima di tutto di obiettivi per il 2020 e per ogni anno a venire. Abbiamo bisogno di tagliare drasticamente le emissioni, alla fonte. Ora».
Con riguardo, invece, al secondo provvedimento citato, il Fondo per una transizione giusta, sarà lo strumento all’interno del quale confluiranno tutte le risorse stanziate per la transizione – ossia tutti i progetti ritenuti sostenibili – nonché quelle per lo sviluppo delle aree con più bisogno di supporto. Ad esprimere immediatamente il proprio sostegno a tale iniziativa è stato il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, che ha manifestato l’intenzione del Governo italiano di attingere al Fondo per la risoluzione della spinosa questione Arcelor Mittal a Taranto.
Il Fondo rappresenterà la sola nuova voce di bilancio e si comporrà di 7,5 mld nel periodo 2021-2027. Esso rientra nel Just Transition Mechanism (JTM), che, secondo la Commissione, mobiliterà complessivamente 143 mld in 10 anni, e mira a garantire un sostegno a quei Paesi che, dipendendo fortemente dall’utilizzo di fonti inquinanti e non rinnovabili di energia, subiranno maggiormente gli effetti negativi della transizione. Il JTM non sarà solo una forma di sostegno economico, ma anche tecnico, esso fornirà supporto e assistenza sia agli Stati membri, sia agli investitori privati attraverso la Just Transition Platfotm.
Incentivi alla produzione di energia da fonti rinnovabili e disincentivi alla produzione della stessa da combustibili fossili, costituiranno una parte fondamentale dell’intero piano d’azione. Questo non riguarderà i soli Stati membri e i loro cittadini; tra le intenzioni della Commissione, infatti, c’è anche quella di introdurre una sovrattassa sulle merci in entrata da Paesi non facenti parte dell’UE, che vengano prodotte secondo standard non conformi ai parametri europei, nel tentativo di influenzare – seppur indirettamente – le modalità di produzione impiegate in alcuni Paesi terzi, quali la Cina, gli Stati Uniti e l’India su tutti. Per raggiungere questo obiettivo, la Commissione punta a far leva su quella che probabilmente è la sua risorsa più preziosa, ossia un mercato unico di 446 milioni di persone, che gode di un certo benessere economico e che, quindi, almeno in linea teorica, può condizionare le economie di quei Paesi che con l’UE vogliono intrattenere scambi commerciali.
Conscia che da sola l’Unione non può incidere in modo risolutivo nella lotta ai cambiamenti climatici, la Commissione intende innescare, attraverso questo meccanismo, un circolo virtuoso che induca i Paesi che più di tutti influiscono negativamente sull’ambiente, ad adattarsi alle linee guida europee, consentendo una riduzione delle emissioni su scala globale.
Quali sono gli obiettivi del Green Deal?
Come già detto, lo scopo principale è la neutralità climatica entro il 2050. Per raggiungere tale obiettivo, si punta a rendere più pulita la produzione di energia elettrica, che ad oggi è responsabile di circa il 75% delle emissioni di gas serra, attraverso incentivi alla produzione di energia pulita e disincentivi all’utilizzo di combustibili fossili. Sarà questa la parte più difficile visto che alcuni Stati membri, come la Polonia, per produrre energia si servono di questo tipo di combustibili per la quasi totalità del loro fabbisogno.
Ad un’attenta analisi, tuttavia, sembrerebbe esserci una discrasia tra quanto previsto dal Green Deal ed alcuni importanti progetti – nello specifico 32 – sostenuti formalmente dall’UE e legati all’utilizzo dei combustibili fossili: una mossa che, secondo gli ambientalisti, terrà il vecchio continente incatenato alla produzione di energia da fonti non rinnovabili ancora «per generazioni». Alcuni di questi progetti verranno realizzati in Italia: si tratta del TAP, gasdotto che ha suscitato innumerevoli polemiche, che trasporterà gas naturale dalla regione del Mar Caspio a San Foca in Puglia; di EASTMED, che porterà il gas da Cipro al Salento; di un gasdotto che collegherà Malta a Gela, e di altre opere infrastrutturali che verranno costruite al Centro-Nord.
Con 443 voti favorevoli, 169 contrari e 36 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato il finanziamento che, attraverso i fondi stanziati direttamente dagli Stati membri, coprirà fino al 50% dei costi di ogni progetto. In una intervista rilasciata al The Guardian, il coordinatore di Friends of the Earth Europe, Colin Roche, ha sottolineato che «questa ipocrisia climatica deve finire. […] A seguito di catastrofi senza precedenti come gli incendi in Australia, la storia non sarà clemente con coloro che oggi hanno sostenuto la costruzione di opere legate allo sfruttamento di combustibili fossili».
Una grande opportunità
Nell’attuale contesto globale – profondamente segnato dalla crisi sanitaria, economica e sociale legata alla diffusione del COVID-19 – il Green Deal può certamente costituire un adeguato strumento volto al rilancio dell’economia dell’intera UE. Questo scenario potrebbe fornire l’occasione di osare sugli investimenti e finanziare la ricostruzione europea in un’ottica verde e sostenibile, con uno sguardo proteso verso la riduzione delle differenze in ambito economico tra gli Stati membri dell’UE. Sotto altro profilo, il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Green Deal contribuirebbe ad esplicare effetti positivi sia a livello interno, elevando gli standard di produzione dei Paesi UE e migliorando il benessere dei cittadini comunitari, sia nelle relazioni esterne, innescando un meccanismo virtuoso di domanda e offerta di beni, prodotti secondo procedimenti ecocompatibili.
In conclusione, il Green Deal rappresenta per l’Unione Europea una nuova opportunità per rafforzare la sua credibilità e la sua influenza sul piano geopolitico globale. A tal proposito, risulta necessario il superamento di quelle possibili resistenze interne – provenienti principalmente dai Paesi appartenenti al gruppo di Visegrád – e, di conseguenza, l’instaurazione di un’azione coordinata e congiunta che consenta agli Stati membri di agire, tramite l’UE, quale attore unico nel contesto mondiale. Qualora ciò non dovesse avvenire o, semplicemente, se non si riuscisse a mettere in atto misure efficaci, tutto ciò potrebbe tradursi in un clamoroso tonfo che metterebbe a serio rischio la credibilità dell’UE per gli anni a venire.
Link per la consultazione: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en