Oggi, 27 Novembre 2020, ricorre il 30° anniversario dalla firma, da parte dell’Italia, della Convenzione di Schengen, il trattato internazionale sottoscritto nel 1990 dal nostro paese e nato successivamente al relativo Accordo di Schengen del 1985, siglato tra gli Stati del Benelux (Belgio Paesi Bassi e Lussemburgo), la Germania e la Francia.
L’Accordo di Schengen
L’Accordo di Schengen è un trattato internazionale – firmato nell’omonima località il 14 Giugno 1985 – tra i Governi del Benelux, della Germania e della Francia con il quale i Paesi in questione hanno previsto la creazione di uno spazio comune di transito, sia delle merci che delle persone, tramite la progressiva eliminazione delle frontiere e dei relativi controlli tra gli Stati firmatari[1].
L’accordo rappresentò la prima vera forma di integrazione tra i Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea (CEE) in materia di libera circolazione delle persone e delle merci, dando manifestazione pratica dei principi enunciati nel Trattato istitutivo della CEE.
La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen
La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen fu firmata nel 1990 da Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania, Francia e Italia, con l’obiettivo di completare nella sua forma essenziale il medesimo accordo, andando in particolar modo a definire sia le condizioni per accedere e ratificare la convenzione stessa, sia le garanzie che i Paesi aderenti devono garantire per favorire l’effettiva libera circolazione di persone e merci.
Sebbene l’accordo e la convenzione rappresentino il cosiddetto “Acquis di Schengen”[2] e che quest’ultimo è divenuto, grazie al Trattato di Amsterdam del 1997, a tutti gli effetti parte delle legislazione dell’Unione Europea (UE), la seconda rimane il frutto della cooperazione rafforzata avvenuta tra alcuni Stati membri dell’allora CEE e, pertanto, non può considerarsi come un vero e proprio trattato comunitario, bensì uno strumento giuridico internazionale i cui effetti si produco all’interno del quadro normativo dell’UE a seguito dell’adozione del Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea (Protocollo Schengen).
Le peculiarità della Convenzione di Schengen
A conferma di quanto appena descritto, le peculiarità di questo Trattato sono non solo la relativa ratifica da parte di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, come la Svizzera o la Norvegia, ma anche la presenza di clausole specifiche di sospensione della Convenzione da parte degli Stati firmatari, per un limitato periodo di tempo e per motivi specifici che possono riguardare il rafforzamento della sicurezza nazionale da una possibile minaccia extra-nazionale.
Anche la differente applicazione della Convenzione da parte di alcuni Paesi aderenti, che al momento della sottoscrizione hanno comunque mantenuto delle proprie prerogative in materia di controllo delle frontiere, ha rappresentato una peculiarità del Protocollo Schengen[3].
Altro aspetto da sottolineare è il principio di adeguatezza che accompagna l’applicazione della Convenzione: infatti, data la complessità delle clausole normative e tecniche, agli Stati firmatari è concesso un periodo di adattamento al protocollo stesso.
In deroga al principio di adeguatezza, tuttavia, la Convenzione può entrare in vigore integralmente in un Paese che vi abbia aderito qualora, dopo una valutazione effettuata dalla Commissione europea e da esperti dello Stato membro sulla corretta attuazione delle clausole del Protocollo Schengen, il Consiglio con voto unanime ne approvi il corretto rispetto e applicazione[4].
L’Italia e la Convenzione di Schengen
L’Italia, sebbene non entrò a far parte dell’Accordo di Schengen del 1985, fu uno dei primi Paesi che firmò la Convenzione del 1990.
Il 27 Novembre 1990, infatti, il Governo Andreotti VI firmò la convenzione stessa che, però, entrò in vigore nel nostro Paese nell’Ottobre del 1997.
I motivi principali di tale ritardo furono sia il terremoto politico-giudiziario che colpì i maggiori partiti italiani e che portò alla conclusione della cosiddetta “Prima Repubblica”, sia il passaggio dall’allora Comunità Economica Europea all’Unione Europea, con la conseguente ridefinizione dei Trattati istitutivi.
Notevoli ritardi, inoltre, furono accumulati anche per via della mancata predisposizione di un organo preposto al controllo e all’attuazione degli accordi di Schengen: infatti, in Italia, solo dal 1993 venne costituito il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione di Schengen, di vigilanza su Europol e in materia di immigrazione e asilo.
Questa commissione del Parlamento, tutt’oggi, svolge sia una funzione di controllo e vigilanza sul rispetto del Protocollo Schengen e sulla Convenzione Europol, sia una funzione consultiva attraverso l’adozione di pareri vincolanti per il Governo in materia di immigrazione e asilo[5].
In aggiunta, corre l’obbligo per quest’ultimo di informare tale commissione annualmente, attraverso la redazione di una relazione che vada a illustrare la sua attività in materia di Europol e Schengen.
[1] https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/borders-and-visas/schengen_en
[2] https://eur-lex.europa.eu/summary/glossary/schengen_agreement.html?locale=it
[3] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Al33020
[4] https://eur-lex.europa.eu/summary/glossary/schengen_agreement.html
[5] https://www.camera.it/leg18/1352?shadow_organo_parlamentare=3016&id_tipografico=30