La transizione ecologica e il settore automobilistico nell’Unione Europea di oggi e domani

Introduzione

La seguente ricerca mira a chiarire e riassumere in un’unica sede molte delle tematiche che gravitano attorno all’argomento del Green Deal Europeo in relazione al settore automobilistico. Inoltre, saranno forniti degli spunti e delle osservazioni sul futuro delle politiche dell’UE in tale ambito, ponendo l’accento su questioni controverse e sulle sfide di un domani che, come avremo modo di analizzare, si presenta incerto per gli Stati Membri.

Per affrontare il suddetto tema, si procederà innanzitutto con un’analisi del settore dei trasporti in relazione alla transizione ecologica, al fine di disegnare un quadro della situazione attuale in ambito Comunitario: obbiettivi, piani di decarbonizzazione, scadenze e ambizioni dell’Unione Europea. Inoltre, si propone uno studio sulla posizione dell’Unione Europea nel contesto geopolitico-energetico odierno, essendo quest’ultimo costellato da crisi politiche e compromessi strategici di un presente politicamente instabile.

Nella seconda sezione il focus riguarda il tema dell’energia. Avendo approfondito gli aspetti specifici di questo argomento, si è potuta quindi definire la posizione dell’UE nell’approvvigionamento dell’energia elettrica, particolarmente riguardo ad aspetti cruciali quali la provenienza delle fonti energetiche.

Nella terza sezione si evidenziano i vari aspetti della tematica del settore automotive: costi delle auto, infrastrutture (come ad esempio le colonnine di rifornimento), provenienza dei materiali e delle batterie elettriche, analisi di mercato. In tale ambito è sembrato opportuno sottolineare il ruolo pilota svolto dalla Cina, leader nel settore delle auto elettriche.

Infine, nelle Conclusioni si sono evidenziate le difficoltà e le sfide che l’UE dovrà affrontare in futuro, nel segno della transizione ecologica.

 

  1. Unione Europea, Green Deal e transizione ecologica

 

“La produzione e l’utilizzo di energia rappresentano oltre il 75% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE. La decarbonizzazione del sistema energetico dell’UE è pertanto fondamentale per conseguire i nostri obiettivi climatici per il 2030 e realizzare la strategia a lungo termine dell’UE che punta a conseguire la neutralità in termini di emissioni di carbonio entro il 2050” è ciò che si legge non appena si vanno a cercare sul sito ufficiale della Commissione Europea temi come “energia” e “Green Deal”. In tale contesto il piano Green Deal si concentra su tre obbiettivi: approvvigionamento energetico sicuro e a prezzi accessibili; sviluppo di un mercato dell’energia integrato, interconnesso e digitalizzato; miglioramento dell’efficienza energetica attraverso l’ottimizzazione degli edifici e dei processi industriali, e trasformazione del settore energetico basata sull’elettrificazione dei consumi grazie a fonti rinnovabili, reti di distribuzione intelligenti e resistenti, e sistemi di accumulo.

Nel 2021 il consumo totale (non solo trasporti) di energia è stato stimato a 39.351 petajoule, il 6.9% in più del 2020, anno caratterizzato dal crollo della domanda dovuta al COVID. In una frazione temporale che va dal 1990 al 2021, il picco dei consumi è stato raggiunto nel 2006, mostrando una tendenza in calo da quell’anno in poi, scendendo del 5.1% nel 2021.

Come si è potuto vedere, l’Unione Europea si pone obbiettivi a medio/lungo termine (anni 2030, 2040 e 2050) per raggiungere la neutralità climatica. Ogni Stato Membro è così chiamato a sviluppare policies e piani, come il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNEC), per integrare e raggiungere gli obbiettivi prefissati dall’Unione. Per rimanere nelle aspettative dell’Accordo di Parigi, e quindi essere climaticamente neutrali entro il 2050, è stata fissata la scadenza del 2030 per ridurre almeno del 55% (Piano “Pronti per il 55”) le emissioni di gas con effetto serra rispetto ai livelli del 1990, auspicando di continuare fino alla metà del secolo secondo questa tendenza. Nell’ambito dei trasporti, seguire il piano significherebbe ridurre del 90% (rispetto ai livelli del 1990) le emissioni dei suddetti inquinanti entro il 2050. Ciò perché tale settore rappresenta il 25% delle emissioni di gas con effetto serra dell’UE, con l’automotive tristemente in vetta per quantità di inquinamento (71%, seguito da aviazione – 14.4%, trasporto navale – 13.5%, treni e altri mezzi – 0.10%).

Ad oggi, i progressi della decarbonizzazione sono stati più lenti nel settore trasporti che negli altri, rendendo evidente come sia necessario rendere l’Europa meno dipendente dai combustibili fossili anche in questo ambito.

Nel settore dei trasporti, si registra nel 2021 un consumo di energia pari a 11.506 petajoule. Il GSE, istituto facente parte del Sistema Statistico Nazionale italiano, ha redatto uno studio che va ad analizzare i consumi energetici del settore dei trasporti dal 2005 al 2020. Emerge dallo studio come il trasporto stradale italiano impieghi l’88.6% del totale, seguito da tutti gli altri mezzi di trasporto, che singolarmente non superano il 2% ciascuno. Inoltre, riporta la ricerca, negli ultimi tre decenni si è andati verso un minor impiego del trasporto su strada, in favore degli altri modi, anche se solo di un 2% in meno dal 1990 al 2020.

In tale contesto è da considerare nelle stime l’impatto della pandemia di COVID-19, che ha portato a una diminuzione significativa dei trasporti per un periodo di tempo legato specialmente al 2020, e quindi del consumo di energia legato ad essi. Ad ogni modo si può notare come il picco più alto del consumo energetico nel settore trasporti sia stato registrato subito prima lo scoppio della suddetta.

Secondo quanto riportato dal sito Eurostat, dal 2023 si può registrare un deciso calo delle emissioni di gas serra. Lo stesso non si può dire del consumo di elettricità, che anzi è andato ad incrementarsi, alla luce di un tendenziale e positivo incremento dell’elettrificazione dei consumi energetici attraverso fonti rinnovabili.

Inoltre, viene affermato che il numero di automobili per ogni 1000 abitanti si attesta ad una media europea di 560, evidenziando una diffusione molto ampia del settore dell’automotive Europeo.

Infine, si può apprendere, confrontando i vari indicatori, che i principali Paesi produttori, ad esempio Francia, Germania ed Italia, sono importatori di fonti energetiche, raffinate e non. Conseguentemente, si può intuire la posizione geopolitica di tali, come avremo modo di approfondire nel secondo paragrafo.

Esaminando e correlando i dati riportati, ci si rende conto della portata dell’impatto, sia economico che energetico, che avrà l’elettrificazione del settore in questione.

 

  1. Energia: un tema scottante in un contesto già caldo

 

Nel seguente paragrafo si tratteranno temi quali quantità di energia, approvvigionamento, fattibilità dei piani e fonti, rinnovabili e non.

Nel percorso dell’Unione Europea verso la decarbonizzazione e la neutralità climatica risulta essenziale l’elettrificazione del settore trasporti, in particolare quello automobilistico, soluzione che rappresenta la scelta a minor impatto climatico tra quelle disponibili. Sorgono in tale prospettiva vari interrogativi, ad esempio: quanta energia elettrica sarà necessaria per alimentare un così vasto parco automobilistico? Come verrà generata questa energia elettrica, dal momento che attualmente una gran quantità delle risorse necessarie per ricavarla è importata? Conseguentemente, quali conseguenze subiranno ambiti come quello della sicurezza sull’approvvigionamento dei combustibili fossili, vista la loro minor richiesta, e della sostenibilità, viste le minori emissioni di Co2? E come si porrà l’Unione Europea di fronte all’ambizioso obbiettivo dell’impatto zero? Piloterà questa transizione o giocherà un ruolo di secondo piano rispetto agli Stati Membri nel fronteggiare queste sfide?

Posto che, come già accennato, è ancora prematuro parlare di risultati concreti, si possono provare ad elaborare previsioni, o al più auspici.

Nel contesto Europeo, le energie rinnovabili rappresentano la sorgente più impiegata nella produzione di elettricità, seguite dai combustibili fossili e dall’energia nucleare. La percentuale di impiego dell’energia rinnovabile e di altre fonti utilizzate per produrre energia elettrica varia di paese in paese nell’Unione.

In tale settore, è da considerare come il conflitto in Ucraina ha provocato un impatto significativo sui prezzi dei combustibili fossili nell’UE, soprattutto il gas, e conseguentemente sulle bollette della luce dei cittadini europei. Questo dipende dal fatto che il prezzo dell’energia elettrica è legato al prezzo del gas naturale, fonte largamente utilizzata per la sua produzione. L’Unione Europea già si è mossa in vari ambiti per rispondere a tale crisi, da una riforma del mercato dell’energia elettrica dell’UE, per evitare shock dei prezzi in futuro, ad accordi di acquisto da Paesi Terzi, a piani energetici, come il RePowerEU.

Come si apprende dal sito del Consiglio Europeo, nel 2022 l’Unione ha prodotto 2.641 TWh (terawatt/ora) di energia elettrica. Di questi quasi il 40% proveniente da fonti rinnovabili, il 38,6% da combustibili fossili e oltre il 20% dall’energia nucleare. Nello specifico, il gas è stato il principale combustibile fossile impiegato per produrre energia elettrica (19,6%), seguito dal carbone (15,8%).

Di seguito un approfondimento specifico sull’impiego di fonti energetiche, rinnovabili e non.

Combustibili fossili in dettaglio:

  • gas: 19,6%
  • carbone: 15,8%
  • petrolio: 1,6%
  • altro: 1,7%

Energie rinnovabili in dettaglio:

  • eolica: 15,9%
  • idroelettrica: 11,3%
  • solare: 7,6%
  • da biomassa: 4,4%
  • geotermica: 0,2%

 

A seguito della crisi Ucraino-Russa, il prezzo del gas è aumentato vertiginosamente a causa dello stop alle importazioni di gas russo. Conseguentemente, anche il prezzo dell’energia elettrica è cresciuto, sebbene, a livello dell’UE, meno del 40% di tale energia provenga da combustibili fossili. Questo si deve alla connessione tra il prezzo dell’energia elettrica e il prezzo del gas, chiamata principio dell’ordine di merito. Quest’ultimo funziona in maniera tale che l’energia elettrica meno cara, di solito proveniente da fonti rinnovabili, viene venduta prima, mentre quella che viene acquistata da altre centrali per supplire al fabbisogno costa di più, e proviene solitamente da fonti non rinnovabili. Sta di fatto che il prezzo dell’energia venduta da queste ultime non viene stabilito volta per volta, ma si attesta sull’ultimo più alto. I Paesi Membri hanno risposto con politiche di sostegno e tagli in bolletta, investendo grosse somme di fondi pubblici a sostegno di consumi fossili, sebbene meno sostenibili ed efficienti sia dal punto di vista economico che ambientale.  Si può inoltre considerare la prospettiva futura di un affrancamento delle fonti di origine fossile, a fronte di un maggior impiego delle alternative ecosostenibili e rinnovabili, che potrebbero mettere al sicuro L’Europa da situazioni come quella sopra descritta. In questo quadro generale, si innesta un tema così controverso come quello dell’elettrificazione del settore dei trasporti, e in particolare, dell’automotive.

Con specifico focus sul settore del trasporto automobilistico, l’Unione Europea ha stabilito che dal 2035 sarà vietata la vendita di auto alimentate con combustibili fossili, ibride comprese, per completare la transizione verso il 100% elettrico, e quindi a impatto climatico zero. Questo scenario presenta due implicazioni principali. La prima è la domanda di energia che sarà necessaria per alimentare un parco auto totalmente elettrificato, che inoltre sembra destinato a crescere rispetto ai livelli attuali. La seconda si rivolge invece alla necessità di impiegare fonti rinnovabili per la produzione di elettricità, per rendere la transizione effettivamente ad impatto zero sul clima: inquinare attraverso combustibili fossili per produrre l’energia sarebbe una contraddizione nell’ambito della neutralità climatica.

Parlando del contesto italiano, due ricercatori, Osimani e Tripputi hanno messo in luce come il Paese è in ritardo sul tema approvvigionamento elettrico, e conseguentemente sugli investimenti ad esso legati. Viene riportato su “Italiaoggi.it” il loro studio: “«Proviamo a fare due conti», scrivono i due ingegneri. «Un’auto elettrica di medie dimensioni e con tecnologie avanzate come la Tesla necessita di 67,5 kWh per percorrere in media 290 km. Poiché le auto private in Italia percorrono in media 12mila km/anno, ogni auto di questo tipo avrebbe bisogno di 2.800 kWh». Poiché in Italia circolano 40 milioni di auto, servirebbero per la ricarica di altrettante vetture elettriche circa 112 TWh/anno, pari alla produzione di 15 centrali nucleari da mille MWe ciascuna. Non disponendo di energia nucleare, abbandonata da decenni, ed essendo il gas una fonte fossile da abbandonare quanto prima, per i verdi l’Italia dovrebbe puntare sulle centrali eoliche e solari. Basteranno?” (Oldani per “Italiaoggi”, 2022).

D’altra parte, Elettricità Futura ha redatto un lavoro a febbraio 2023 dove tratta il tema degli investimenti che l’Italia dovrà affrontare per prepararsi al meglio alla transizione ecologica. Si evidenzia come nel 2022 il 65% dell’energia elettrica provenga da fonti non rinnovabili di cui il 95% importate, non essendo il nostro un Paese produttore. Lo studio evidenzia come le fonti rinnovabili siano la soluzione migliore per il contesto italiano, essendo l’energia che ne deriva più economica e, specialmente, ecosostenibile. L’impiego di tali fonti porterebbe, di riflesso, anche ad una maggior indipendenza energetica. 360 TWh è la stima di elettricità che sarà necessaria nel 2030 per sostenere la transizione, cioè 85 GW in più rispetto al 2022. Connesso ad esso vi è la questione per cui l’84% delle fonti utilizzate nel 2030 deve derivare da rinnovabili nazionali, per via del discorso dell’indipendenza energetica legata alla neutralità climatica sopra riportato. Il documento auspica che vi siano evoluzioni in seno all’ambito burocratico, concedendo autorizzazioni per lo sfruttamento di territori protetti da misure a salvaguardia del paesaggio (giustificandole con il fatto che continuando ad emettere così tanta Co2 non ci sarà più un paesaggio da salvare) ed aggiornando gli equipaggiamenti tecnici di uffici responsabili, gli atti normativi dietro tali settori ed infine il PNEC, già sopra riportato. Si conclude vedendo azioni necessarie e vari aspetti positivi dell’impiego dei suddetti 85 GW: la necessità di 320miliardi di euro di investimenti, a fronte dei 360miliardi in beneficio economico da essi derivanti; una riduzione di 270milioni di tonnellate di anidride carbonica (Co2) e 540mila nuovi posti di lavoro nel settore. Ultimo ma non meno importante è il fatto che le installazioni per ottenere una maggior quantità di fonti rinnovabili (per raggiungere i suddetti 85 GW) richiederanno solo lo 0.3%, 30milioni di ettari, del territorio dell’Italia secondo quanto riportato dagli studi di Terna-Snam.

Ad ogni modo, ci si rende conto come vi siano ancora sfide e questioni irrisolte legate a vari temi, primo fra tutti l’approvvigionamento energetico e la gli investimenti necessari per una produzione ecosostenibile, cui l’Unione Europea dovrà far fronte, insieme agli Stati membri, vista la dimensione comunitaria del problema e vista l’importante quantità di flussi di denaro che sarà richiesta.

Emerge così che non è facile trovare calcoli e ricerche tanto precise da proporre un modello su cui basarci, bensì solo una stima. Resta quindi il fatto che in questa sede si può trattare il tema del fabbisogno energetico solo in via teorica e parziale, per il momento. E il caso italiano sopra riportato è indicativo di alcune carenze a livello di infrastrutture e questioni aperte sulle scelte da prendere ora per il futuro della produzione energetica.

 

  1. La transizione ecologica nel settore automobilistico: volti di un settore interconnesso

 

In questo paragrafo si cercherà di dare una prospettiva su temi e aspetti più “pratici”, passando in rassegna dati su infrastrutture, mercati, costi e questioni di ordinaria gestione legate all’elettrificazione del settore delle automobili.

 

3.1. Colonnine pubbliche, velocità di ricarica e costi colonnine domestiche

Uno dei temi molto discussi nell’ambito delle autovetture elettriche è quello della ricarica attraverso le colonnine pubbliche. Questo argomento rientra nella sfera delle infrastrutture, diventando così cruciale nel contesto dell’elettrificazione. Secondo un monitoraggio di ChargeUp Europe, a dicembre 2022 i punti di ricarica pubblici totali risultano essere 475.122, contro i 330.000 del 2021 (+40%). Tra gli Stati Membri, Olanda Germania e Francia si aggiudicano il podio, comprendendo circa il 60% delle colonnine pubbliche dell’Unione, seguiti da Italia e Spagna. Si riscontrano ritardi dei paesi dell’Est Europa rispetto alle politiche di elettrificazione del settore trasporti, almeno fino a fine 2022. Inoltre, emerge pure come la media del numero di colonnine ogni 100.000 abitanti sia di 106, con eccellenze in Olanda, Lussemburgo e Austria, mentre l’Italia con 56 e la Spagna con 53 colonnine, si attestano a livelli più basti, con implicazioni per la transizione nel settore. Un dato tuttavia è chiaro: per raggiungere la conversione totale del parco auto europeo come prefissato dalle istituzioni UE, sarà sicuramente necessaria una massiccia diffusione e  penetrazione dell’infrastruttura di ricarica.

C’è da constatare inoltre che, a livello globale, la Cina detiene il maggior numero di installazioni di colonnine sia a ricarica veloce che lenta, come affermato da ChargeUp Europe.

Per ciò che concerne la velocità di ricarica, essa può essere di più tipi. Il più diffuso è quello di modo 3, a corrente alternata, che a sua volta si divide in slow, con potenze inferiori ai 7 kW, e quick, che raggiunge fino a 22 kW. La potenza delle colonnine determina la velocità di ricarica: mediamente per caricare un veicolo ci si può impiegare dalle 2 alle 10 ore, ma ciò è determinato anche dalla capacità della batteria, dove le più capienti richiedono più tempo. In Italia le slow sono circa il 10%, mentre le quick il 75%. Esiste poi anche il modo 4, ovvero fast e ultra fast, a corrente continua, che permette una ricarica da qualche ora a 20-30 minuti. In Italia solo il 15% è di modo 4. Inoltre, promettenti sono gli sviluppi della ricerca sulle batterie al sodio, che promettono tempi di ricarica sempre più veloci, paragonabili a quelli che si impiegano per le auto endotermiche.

Infine, per ciò che riguarda le colonnine domestiche, o wallbox, spesso richiedono l’adattamento del sistema elettrico casalingo/condominiale. Ovviamente è richiesto un apporto di corrente maggiore, visto che è supportato il modo 3 (sia slow che fast). I costi delle colonnine partono dai 700 e arrivano fino a 1700, a seconda del tipo di veicolo che si deve ricaricare. Attualmente vi sono incentivi statali, come nel caso italiano, per l’acquisto delle wallbox. Secondo Ayvens, basandosi sui prezzi dell’elettricità di maggio 2023 e considerando un’autonomia media del veicolo di 300 km, un km costa circa 0.02 euro. D’altra parte, se si considera una media di 15 km con un litro di benzina, e fissando il prezzo di quest’ultima ad 1.9 euro al litro (prezzo medio riferito a 4/2024), il costo di un km si attesta approssimativamente a 0.127 euro per le auto endotermiche. Tali constatazioni sono comunque condizionate dai mercati, e quindi legate a domanda e offerta di benzina ed elettricità. In futuro quindi tali stime potrebbero essere diverse per tale ragione.

 

3.2. Costi auto elettriche: andranno diminuendo?

Per ciò che concerne il solo prezzo delle auto elettriche, è noto come oggigiorno essi siano ancora più elevati rispetto ad omologhi veicoli a combustione. Se si confronta un modello ibrido con la sua versione elettrica, la differenza è di circa 10.000 euro, come si vede dai listini alla presentazione del più recente modello di Alfa Romeo, la Milano. In sostanza significa che ancora oggi l’auto elettrica non è sufficientemente economica né tantomeno alla portata di tutti. Ad ogni modo, in controtendenza, si stima una discesa dei prezzi, sia per una questione di mercato, dovendo vendere prodotti anche a fasce di reddito più basse, sia per una questione di ottimizzazione industriale, in sviluppo verso l’elettrico. Anche marchi come Renault e Citroen, ben noti nel mercato europeo, hanno annunciato la produzione di utilitarie 100% elettriche a costi paragonabili a quelli delle loro versioni endotermiche di oggi. In più vi è da segnalare come vi siano fondi pubblici, in Italia l’ecobonus con rottamazione, messi a disposizione per sostenere il cliente nell’acquisto di questi veicoli, ancora relativamente più costosi.

Interessante si presenta, infine, lo studio condotto dalla società di consulenza Gartner, basata a Stamford, negli Stati Uniti. Esso spiega come le previsioni siano a favore di una diminuzione dei prezzi delle autovetture elettriche, ribaltando la situazione odierna, entro il 2027. Ciò perché i costi di produzione verranno abbattuti da tecnologie innovative che rendono competitiva l’auto elettrica sul mercato. In particolare, la diminuzione dei costi delle batterie sarà cruciale in questo processo. Tutto ciò però penalizzerà la riparabilità, spiega la società, rendendo, secondo le previsioni, più conveniente rottamare se confrontato con il riparare in caso di incidenti o collisioni di una certa entità, prevedendo un aumento del 30% dei costi medi di riparazione di carrozzeria e batterie elettriche entro il 2027. Avrà ciò ricadute sulle compagnie assicurative, rendendo i premi più alti o rifiutando più frequentemente di assicurare un determinato veicolo? In tale ambito sorgono preoccupazioni sule strategie industriali delle compagnie automobilistiche, se le previsioni di Gartner si riveleranno veritiere: oggigiorno è impensabile che sostituire sia più conveniente che riparare. Ad un abbassamento del prezzo dei veicoli non può corrispondere un loro aumento per i pezzi di ricambio. Ovviamente le aziende ragionano in termini di profitto, e senza chi imponga standard qualitativi, ad esempio come ha fatto l’Unione Europea per quelli sull’impatto ambientale, riuscendo addirittura a bandire l’endotermico, saranno i produttori a regolare tali ambiti (tra cui quello dei prezzi dei pezzi di ricambio). Il futuro saprà svelarci la risposta a questa questione, e se, ancora una volta, l’UE piloterà o sarà pilotata in questa transizione ecologica verso il 2050.

 

3.3. Produzione ed importazione auto: chi potrebbe aggiudicarsi la grossa fetta di mercato?

Spesso si legge come la Cina sarà, secondo previsioni, il bestseller di auto elettriche, come anche riportato da Avrios a fine 2023. Già nel 2022 il 38.2% delle vendite di auto elettriche era di produzione cinese, generalmente più economiche ed efficienti rispetto alla concorrenza internazionale. Concretamente vari marchi cinesi hanno registrato vendite record di auto elettriche. Basti pensare che il colosso BYD, cinese, ha superato Tesla nelle vendite nell’ultimo trimestre del 2023. Ciò anche perché la Cina produce le batterie utilizzate per alimentare questi autoveicoli. Questo è un tema cruciale dal punto di vista industriale, economico e sociale, dato che i costi sono largamente legati a tale componente, che si attestano a non meno di 7000 euro. Questo ci fa rendere conto dei costi nella catena produttiva delle auto elettriche. Avrios riporta inoltre lo studio redatto da Rystad Energy, secondo cui le auto cinesi registreranno un alzamento ulteriore di vendite nel 2024, dalle 9milioni del 2023 alle 11.5 dell’anno successivo. Ciò significa che la Cina coprirà due terzi delle vendite di auto elettriche ed ibride. Comunque, afferma lo studio, per quanto indietro, i marchi Europei registreranno successi nelle vendite, guadagnando porzioni di mercato via via sempre più grandi. Un esempio è quello riportato da Reuters nel 2024, che evidenzia come BMW abbia intenzione di convertire alla produzione di auto elettriche il proprio stabilimento principale, quello di Monaco, entro fine 2027, investendo 650milioni di euro, a fine di incrementare le vendite delle auto elettriche di un terzo rispetto al 2024. Per concludere, la produzione Cinese porta comunque lo stigma legato alla qualità delle sue auto e alla manodopera dietro tali. Se in passato si poteva credere così, oggi si esportano veicoli e componenti che vengono impiegati da molti altri marchi prestigiosi, quindi la valutazione dei veicoli green cinesi si sta alzando. E per ciò che riguarda lo sfruttamento della manodopera, non si sa molto dal Governo Cinese, che nega le segnalazioni arrivate dallo Xinjiang, regione abitata prevalentemente da Uiguri, della popolazione locale.

Rimangono molteplici interrogativi legati a questi temi, dai costi dei prodotti al futuro del mercato e dei marchi europei. Si potrebbe prevedere che vi saranno ricadute sul mondo del lavoro dell’Unione. D’altronde varie prospettive inedite dipendono dall’elettrificazione dell’automotive: numero di vendite, ottimizzazione della produzione, facilità di quest’ultima e, non da ultimo, il settore dei meccanici, che vedrà una drastica riduzione della richiesta, vista la semplicità dei motori elettrici e il minor numero di componenti, se comparati con quelli endotermici.

 

3.4. Capacità batterie? Chi le produce? Costi batterie? Smaltimento?

Le batterie che alimentano le auto elettriche possono essere di vario tipo, con varie capacità, diversi tipi di composizione e diversi prezzi. Il litio e, in minor parte, il cobalto sono tra gli elementi essenziali per questi accumulatori di energia elettrica. Più la capacità della batteria è grande, più il suo costo aumenterà, anche se, come segnalato da BloomergNEF, le tendenze di mercato segnalano un cambiamento rispetto ai prezzi di tale tecnologia, in calo di anno in anno (-14% tra il 2022 e il 2023). Ciò significa che per eguagliare le distanza che si può coprire con le endotermiche, al giorno d’oggi si deve disporre di una disponibilità economica al di sopra della media. Rimangono comunque prospettive incerte e contrastanti sul futuro del mercato delle batterie, che potrebbe registrare un abbassamento dei prezzi, prevedendo un aumento delle vendite (specialmente in Europa). I principali produttori di batterie sono Catl, Byd, LG Energy Solution, Panasonic e SK On. Si può notare come le principali siano cinesi, e il resto si colloca in Asia: Giappone, Corea. L’Europa è nettamente indietro nella produzione di batterie, con la Svedese Northvolt, che si aggiudica quasi il 3% del mercato globale. Tale realtà potrebbe essere un bacino dove investire per poter puntare a una minore dipendenza dalle importazioni delle batterie cinesi, come afferma The Guardian. Inoltre, c’è da dire che per produrre e riciclare batterie sono necessarie le gygafactory, aggiungendo un’altra voce al contesto degli investimenti necessari, essendo queste innovative e prospettando quindi nuovi investimenti. Infine, nuovi modi di produzione indicano una trasformazione del mercato del lavoro, generando nuove figure professionali e nuove necessità delle aziende. Il focus è nettamente spostato verso le prospettive cui gli Stati Membri dovranno far fronte per sfruttare le condizioni storiche di una transizione ecologica irreversibile e necessaria, prospettandosi nuovi investimenti e opportunità in un mercato che sembra dominare il futuro.

Un altro aspetto di cui bisogna tener conto, sebbene non verrà approfondito in tale sede, è la provenienza dei materiali necessari per costruire le batterie. Un esempio è il cobalto del Congo, dove si registra un elevato tasso di sfruttamento minorile, si stimava 35.000 nel 2018, nelle miniere a fronte di una retribuzione irrisoria. Positivo il dato secondo cui, come riportato da NREL e dal MIT, si sta procedendo alla rimozione del cobalto nella produzione. Già è stato citato inoltre come vi siano diverse fonti che riportano un clamoroso sfruttamento di manodopera in Cina della popolazione degli Uiguri, destinato al settore dell’automobile.

Un ultimo elemento da tenere in considerazione quando si guarda allo sviluppo dei veicoli elettrici è la riutilizzabilità delle batterie, come segnala Ayvens, essendo i materiali di cui sono composte spesso riciclabili e/o riutilizzabili e che il loro riutilizzo riduce le emissioni inquinanti circa il 30% rispetto alle auto endotermiche. Spesso si parla di riuso, o second life, al posto che di smaltimento, vista l’alta applicabilità del prodotto riciclato. Inoltre, come riportato da NREL, sono in sviluppo nuove tecnologie per diminuire l’utilizzo di energia e ottimizzazioni volte ad aumentare le quantità di materiale riciclabile in tali processi di riqualificazione

 

3.5. Aspetti occupazionali

Cambia la catena di produzione, cambia chi vi lavora. Già in precedenza si è discusso come una professione diffusa come quella del meccanico, potrebbe essere influenzata in modo parzialmente negativo dalle tecnologie dell’auto elettrica, vedendo quindi una drastica riduzione di lavoro e portando a rimodulazioni nei tassi di occupazione di tale mestiere. Per ciò che invece riguarda l’occupazione nelle fabbriche, vi sono pareri contrastanti.

Clepa, associazione europea di fornitori di componenti per l’automotive, afferma che secondo le stime, da qui al 2040 perderanno lavoro circa 73.000 persone solo in Italia e 275.000 in Europa. Ciò perché le filiere industriali non sarebbero in grado di sostenere una conversione così travolgente nel giro di dieci anni. Accanto a tale associazione ve ne sono altre che sostengono una politica di transizione più “morbida”, affiancando all’elettrico anche altre soluzioni. Sorge qui un interrogativo, ovvero se le la diminuzione dei posti di lavoro sarà conseguenza dell’inazione delle industrie, quindi mancanza di intraprendenza e di investimenti verso tecnologie future (in questo caso l’elettrificazione dell’automobile), portando quindi ad una domanda minore e, conseguentemente, a tagli del personale, o se invece dipenda da politiche aziendali volte a tenere alti i profitti, lasciando che la classe lavoratrice paghi parte del prezzo della conversione all’elettrico, per quanto possibile in termini di produttività e domanda. Inoltre, appare pertinente chiedersi se le filiere non siano in grado di supportare la transizione per ragioni di natura tecnica o se dipenda da resistenze ad investire. In tal senso, maggior tempo dovrebbe garantire maggior efficienza o solamente un minor impatto sui profitti aziendali?

D’altra parte, c’è chi invece sostiene come la transizione porterebbe a effetti benefici per il mercato del lavoro, come Motus-E, associazione di imprese del settore mobilità elettrica e Cami, rete di ricercatori che fa capo all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Lo studio da loro condotto analizza nel dettaglio oltre 2400 aziende italiane che producono 127 componenti per auto (280.000 addetti totali), constatando un possibile impatto, su ciascuna, della produzione di componenti per sole auto elettriche, per sole diesel/benzina e comuni a entrambe. I dati si basano sul 2020 e si proiettano verso il 2030:

  • Produttori di componenti comuni per auto diesel/benzina ed elettriche: -40,6%di occupati (da 43.511 a 25.824).
  • Produttori di componenti per sole auto diesel/benzina: -41,1%(da 14.139 a 8285).
  • Produttori di componenti per sole auto elettriche: +11%(da 214.998 a 239.819).
  • Totale: +6%(da 258.509 a 273.928, con incremento di 419).

Stando ai risultati, si può intuire come le imprese che potrebbero subire gravi effetti a causa della transizione sono quelle che producono componenti per il solo settore endotermico o misto. Chi si adopera per l’elettrico possiede prospettive migliori in termini di potenzialità di crescita. In tale questione rientra anche quella della riqualificazione dei lavoratori: appare ovvio come parte degli investimenti debba essere pilotata in tale direzione, agevolata anche da politiche pubbliche, a fine di evitare che gli operai paghino le conseguenze della transizione.

Sembra quindi difficile prevedere in che modo si evolverà il mercato e quali variabili influiranno su occupazione e obsolescenza. Ciò che sembra certo è che se effettivamente si continuerà con il percorso tracciato dall’Unione Europea, c’è bisogno di accelerare la transizione, vista la forte competitività di quella che è già leader: la Cina. In tale contesto, sembra cruciale investire al più presto sull’elettrico, posto che appare questo il futuro degli autotrasporti in tutto il modo. Il rischio è che i mercati mondiali possano evolvere in questa direzione, mentre l’insufficienza di investimento porterebbe i produttori europei a rimanere ancorati a posizioni retrograde e non ecologiche, rendendo così l’Europa non competitiva e dipendente da marchi esteri. Non solo le aziende, ma anche la classe politica deve dare un forte impulso in senso di agevolazioni per promuovere la transizione ecologica.

 

Conclusioni

Attraverso questo studio abbiamo potuto esaminare diversi aspetti della transizione energetica in relazione al settore automobilistico, approfondendo l’analisi sia sul piano politico sia su quello tecnico. Ciò ha consentito di trarre alcune conclusioni e di esprimere alcuni interrogativi.

Ciò che accomuna le questioni trattate è l’incertezza che caratterizza il futuro della transizione energetica. Considerando le diverse prospettive di un settore così complesso come quello automobilistico si ottiene uno spettro molto ampio di opinioni e stime sulla transizione che lo riguarda, che va da quelle più pessimiste a quelle più ottimiste. Attenendosi ai dati oggettivi, è evidente che l’Europa sia in ritardo nel settore dell’auto elettrica rispetto ad altri paesi come la Cina, specialmente per ciò che riguarda elementi infrastrutturali, quali ad esempio l’installazione di colonnine di rifornimento, gli impianti energetici, la produzione di auto e batterie e il loro mercato interno. Inoltre il ritardo dell’Europa riguarda elementi legati all’approvvigionamento energetico, come ad esempio la necessità di soddisfare l’incrementato del fabbisogno elettrico derivante dalla transizione a impatto zero. La situazione geopolitica attuale, inoltre, determina un cambio di equilibri geopolitici per l’UE, a causa del conflitto in Ucraina, che ha messo in discussione l’approvvigionamento energetico in Europa, generando insicurezza sulle fonti non rinnovabili importate, come il gas. Ciò ha messo in luce la necessità di investire sulle rinnovabili europee e ha posto le non rinnovabili in una posizione di convenienza minore rispetto al passato, essendo i loro prezzi aumentati. La sfida per l’area EU sarà quella di riuscire ad inquinare meno e diventare un modello per gli altri Paesi affinché si mobilitino davanti alle emergenze climatiche in atto. Ciò significa investire su tecnologie future e portare i marchi europei sulla strada dell’elettrificazione, essendo presenti numerose resistenze sia a livello aziendale, vedendo la riluttanza ad investire per riconvertire, che sociale, come si può osservare da propagande politiche poco lungimiranti, essendo il mercato dell’automotive direzionato verso un futuro caratterizzato dall’elettrico. Si è visto come le possibilità tecnologiche siano concrete, anche se costose: la questione gravita prevalentemente attorno a opposizioni di natura economica, in termini di convenienza e ritenzione ad investire. Rimane comunque il fatto che l’Unione Europea si propone come esempio di cambiamento davanti alle impellenti sfide dell’attualità, emergenza climatica in primis. L’UE sembra essere un esempio valido di politiche green a livello mondiale nel settore automotive. Inoltre, non è da dimenticare che ha a disposizione consistenti risorse economiche, presenta un contesto industriale sviluppato e il mercato permette investimenti da destinare al settore energetico. Nel contesto internazionale è improbabile che si possa chiedere ai Paesi in via di sviluppo di non inquinare, di utilizzare tecnologie più costose e di fare investimenti a più lungo termine, con benefici non immediati, proprio mentre essi stanno costruendo la propria rete industriale e il proprio mercato. Ciò sarebbe infatti difficilmente realizzabile in un sistema di mercato mondiale basato sulla competizione. Tuttavia, la portata del cambiamento climatico è tale da non consentire soluzioni di compromesso. La produzione di energia e il suo approvvigionamento rimangono un elemento chiave per risolvere la sfida dell’auspicata neutralità climatica. In questa prospettiva, il ruolo dell’UE sarà significativo, in quanto potrebbe plasmare gli equilibri di potere politico ed economico al suo interno e nella comunità internazionale riguardo a scelte energetiche e produttive determinanti per il pianeta. L’occasione di cogliere una sfida così all’avanguardia restringe i tempi e segnala come in gioco non ci sia solo il clima, bensì il futuro dei mercati e dei produttori europei, essendo la transizione un processo irreversibile ed obbligato. Ci si chiede, pertanto, se l’EU sarà in grado di pilotare la transizione o se giocherà un ruolo di secondo piano. Gli eventi in corso ci dimostrano che per far fronte a sfide epocali si richiedono sforzi collettivi di grande portata. Ciò, ad esempio, è stato possibile per far fronte alla crisi derivata dalla pandemia secolare del COVID-19. Gli Stati Membri dell’UE dovranno quindi essere coesi nel gestire una transizione industriale imponente, che riederà l’investimento di risorse ingenti. Si può quindi concludere affermando che, data la natura integrata del mercato europeo, azioni non coordinate fra gli Stati membri dell’UE darebbero sicuramente esiti limitati e addirittura controproducenti, in un contesto dove ancora non è troppo tardi per investire su un mercato elettrico nascente e promettente che si pone come il futuro dell’automotive nel mondo.

 

Sitografia

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