Le Parole della pandemia

Al di là delle nefaste conseguenze cliniche, la diffusione della COVID-19 costituisce un evento d’apprendimento di massa pressoché senza precedenti1, con conseguenze linguistiche e sociali di ampia portata. Corona-Hysterie, Corona-Krise, Corona-Bonds. Il tedesco, lingua versatile e viva, ha saputo ben adattarsi alla sfida posta dalla pandemia da nuovo coronavirus. Come riportato dalla linguista Klosa-Kückelhaus in un’intervista per NDR2, circa 500 neologismi avrebbero visto luce in questi mesi: alcuni più semplici (Maskenpflicht), altri più fantasiosi (Covidiot, Maskomat), altri ancora semplici prestiti (Lockdown).

«I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», scriveva Wittgenstein3, e le parole che usiamo, è ormai chiaro, influenzano il modo in cui ci rapportiamo alla realtà4. Vale dunque forse la pena soffermarsi un attimo su alcuni di questi neologismi. Se da un lato l’emergenza sanitaria ha stimolato una migrazione di termini tecnico-scientifici nel lessico quotidiano (si pensi a Reproduktionszahl, o Hydroxychloroquin, termini per i quali si è assistito – e si assiste tuttora – ad un’impennata di ricerche online5, come pure per i corrispettivi italiani R0 e idrossiclorichina), dall’altro è vero anche che alla pluralità formale dei neologismi fa da contraltare il carattere per lo più negativo di questi termini, che pressoché tutti li accomuna: Viren-Schleuder, Viren-Bomber, ecc.

Questa “negatività”, propria tanto del tedesco quanto dell’italiano – per certi versi meno creativo, pur con qualche eccezione: covidiota –, riflette una certa apprensione collettiva e ciò non stupisce affatto6. E’ tuttavia interessante osservare come in ambo le lingue, e non solo, nella “nuvola semantica” della pandemia abbiano fatto ingresso termini che con l’epidemiologia avrebbero normalmente poco a che fare: guerra, bollettini, trincee, fronte.

«Der Kampf gegen das Corona-Virus ist ein Krieg («La lotta contro il coronavirus è una guerra»)», così l’economista Sinn7. Una guerra che, come tutte, va combattuta con armi brandite da guerrieri attivi al fronte, al riparo in trincee ospedaliere8. Se media, politici e virologi ci fanno dunque sentire tutti protagonisti di una storia di guerra, è necessario che vi sia un antagonista: un nemico.

E’ appunto di unsichtbarer Feind che scrive Keim per il Bild9 e, analogamente, di nemico invisibile parla anche il premier italiano Conte su Twitter10. D’altro canto, l’espressione ha un che di paneuropeo, dall’ennemi invisible del Presidente Macron11 all’enemigo invisibile degli editoriali spagnoli12. Si tratta di un lessico ricorrente, a cui tanto il mondo tedescofono quanto quello italofono hanno fatto ampio ricorso nel corso anche dell’emergenza HIV. Si tratta, ad esser precisi, di quello che i linguisti amano chiamare frame: un certo modo di pensare, una certa Weltanschauung, che attraverso le parole è applicata alla realtà. La domanda sorge spontanea: è una buona idea parlare di Corona-Krieg?

Probabilmente no. Il linguaggio della guerra è il linguaggio della logica miliare, dell’obbedienza e della sospensione morale, è la logica dell’uniformità, che non è ben compatibile con la pluralità della nostra società, con gli infiniti modi di relazionarsi alla pandemia, di reagirvi e di parlarne13. Il linguaggio dell’opposizione bellica finisce così con l’istigare comportamenti reazionari, eversivi, trasformando le mascherine in museruole14 e le Schutzmasken si trasformano in Maulkörbe15. D’altronde, questa è una retorica polarizzante, quasi disumanizzante, che rassicura i più, ricordando con freddezza che a rischio sono per lo più gli altri, coloro che sono “ueber 80 oder vorher schon krank oder beides16.

In conclusione, se è vero che la pandemia pone una sfida collettiva, non sarebbe meglio rispondere con una narrazione realmente collettiva? Inclusiva, vale a dire. Questa crisi, che è portata da un virus e non da un esercito, è una crisi civile e come tale andrebbe trattata.

Come procedere, allora? Anzitutto, è fondamentale che ci si concentri sul futuro17. Nessun ente, nessun politico, nessun virologo è di per sé “responsabile” della creazione di questa narrazione. Il linguaggio è territorio comune ed è forse da qui che sarebbe bene partire: dalla costruzione di una narrativa comune, fondata sul linguaggio della Fürsorge18 e lontana dalle aspettative di un vicino “ritorno alla normalità (Normalität)”19.

La pandemia è destinata a finire. Cosa ne resterà? Una manciata di parole nuove nei lessici italo-tedeschi e una storia ancora da scrivere. Una storia di valori.

1 Piller, I., Zhang, J., & Li, J. (2020). Linguistic diversity in a time of crisis: Language challenges of the COVID-19 pandemic, Multilingua, 39(5), 503-515. doi: https://doi.org/10.1515/multi-2020-0136.

2 «Corona: Entsteht ein neuer Wortschatz?», www.ndr.de, 09 luglio.

3 L. Wittgenstein, Tractatus logico – philosophicus, prop. 5.6.

4 «La lingua non è il riflesso diretto della realtà, ma esprime il nostro pensiero rispetto alla realtà e veicola quindi anche eventuali stereotipi e discriminazioni», scrive Fornara in O. Fornara, Il linguaggio non sessista in Italia. Posizioni istituzionali e pratiche d’uso (2009).

5 Secondo quanto riportano i dati reperibili tramite trends.google.com.

6 In alcune lingue quest’aspetto appare ancor più marcatamente. E’ il caso, ad esempio, della lingua tswana, parlata principalmente in Sudafrica, in cui il termine impiegato in riferimento alla quarantena – “diagelo” – presenta una chiara connotazione religiosa. Cfr. Mesthrie R. More eyes on COVID-19: Perspectives from Linguistics: Pay attention to how people are talking about the pandemic in different languages. S Afr J Sci. 2020;116(7/8), Art. #8497, 1 page. https://doi.org/10.17159/sajs.2020/8497.

7 «Der Corona Krieg», www.project-syndicate.org, 16 marzo.

8 Per un’esauriente lista di titoli giornalistici connessi a ciascuno di questi termini si veda «Sul «nemico invisibile» e altre metafore di guerra. La cura delle parole», www.treccani.it, 25 marzo.

9 «Coronavirus: So hart trifft der unsichtbare Feind die Bundespolizei», www.bild.de, 20 marzo.

10 Tweet pubblicato il 17 marzo.

11 Così in un discorso alla nazione in data 16 marzo, cfr. www.elysee.fr.

12 Cfr. «Coronavirus: el enemigo invisibile», www.abc.es, 21 marzo.

13 Così anche Vondermaßen in «Warum wir keinen Krieg gegen das Corona-Virus führen (und auch nicht damit anfangen sollten)», www.uni-tuebingen.de, 02 aprile.

14 Così Fusaro in «Coronavirus, i bambini a scuola come cani con la museruola», www.affaritaliani.it, 22 agosto.

15 «Das Virus ist eine “Plage”, der Kampf dagegen ein “Krieg”», www.tagesspiegel.de, 24 aprile.

16 Ibid.

17 «Building Trust, Confidence and Collective Action in the age of COVID-19», contributo di Evans e Steven datato aprile 2020 in «Resilience in the face of the Coronavirus Pandemic», www.worldpoliticsreview.com, aggiornato a Maggio 2020.

18 «Warum wir keinen Krieg gegen das Corona-Virus fuehren (und auch nicht damit anfangen sollten)», cit.

19 «Covid, Capua: «Gli altri Paesi sono nella seconda ondata. Ritorno alla normalità? Non prima del 2022»», ilmessaggero.it, 23 settembre; e: «Zurück zur Normalität: Bald wieder Livemusik in der Warsteiner Music Hall», ruhrnachrichten.de, 17 settembre.

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