Durante il vertice di Parigi del 1974, gli Stati membri decisero di rilanciare il processo di integrazione europea e di rinnovare la volontà di realizzare l’unione economica e monetaria. Nell’ottica di rafforzare l’assetto istituzionale e ridurre il deficit democratico dell’Unione, si stabilì che i cittadini dell’UE potessero eleggere direttamente i componenti del Parlamento europeo che, fino ad allora, venivano nominati dalle assemblee parlamentari degli Stati membri e godevano di una legittimazione popolare indiretta. In tal senso, questa decisione perseguiva l’obiettivo di rafforzare la democraticità dell’UE.
Gli ostacoli e le resistenze alle elezioni dirette del Parlamento europeo
La scelta di eleggere i membri del Parlamento europeo mediante suffragio universale diretto incontrò non poca resistenza da parte degli Stati membri; questi, in particolare, temevano che le elezioni dirette potessero condurre a un’eccessiva limitazione della sovranità nazionale.
La questione principale si è posta per i Paesi più piccoli: infatti, è stato stabilito che il numero dei rappresentati eletti dai singoli Stati, debba essere proporzionale alla loro popolazione. Tale previsione ha rischiato di creare uno squilibrio all’interno dell’Istituzione UE, poiché i Paesi più grandi finiscono inevitabilmente per godere di una rappresentanza maggiore[1].
Dopo un ampio dibattito, si raggiunse un accordo in base al quale fu prevista l’elezione di 410 parlamentari, con mandato quinquennale e ammissibilità del doppio incarico europeo e nazionale.[2]
Quanto al sistema di voto, sebbene i Trattati dettino una procedura elettorale uniforme, i singoli Stati membri, continuano a disciplinare autonomamente la normativa di dettaglio in materia.
La Campagna elettorale
Alla fine degli anni ’70, come testimoniano i sondaggi dell’Eurobarometro[3], l’opinione pubblica guardava di buon occhio alle elezioni dirette del Parlamento europeo, al rilancio del processo di integrazione e al rafforzamento di “un’unione sempre più stretta”. Tra il 1973 e il 1979, in base alle interviste registrate, il consenso sul passaggio ad un sistema di voto a suffragio diretto, crebbe dal 50% al 75%.
I partiti iniziarono ad elaborare programmi elettorali e, in tale prospettiva, le correnti affini si raggrupparono a livello europeo. La difficoltà principale della campagna elettorale era dovuta al fatto che i partiti, fino ad allora, avevano sempre basato i loro programmi politici su temi di carattere nazionale e fu difficile trovare, anche per partiti molto affini fra loro, un programma d’idee comuni da presentare.
Le famiglie politiche
Alla luce degli esiti delle prime elezioni del Parlamento europeo, le famiglie politiche più rappresentative appartenevano ai socialisti, ai democristiani e ai liberali. I socialisti provenivano da tutti e nove i Paesi che, all’epoca, costituivano la Comunità Europea; i democristiani erano presenti in sette Stati, mentre la fazione liberale accomunava otto Paesi. Vi erano, poi, alcuni partiti nazionali che non avevano una corrispondente famiglia a livello europeo, ma avanzarono comunque le loro candidature alle elezioni, come, ad esempio, i Conservatori nel Regno Unito e i gollisti in Francia[4].
Le prime votazioni europee
Le prime elezioni europee, originariamente, previste per il 1978, si svolsero l’anno successivo, a causa del ritardo con cui venne approvata la legge elettorale nel Regno Unito.
Il 7 giugno 1979, ebbero luogo le prime votazioni in quattro Paesi membri della Comunità; le procedure si conclusero il 10 giugno, affinché ogni Stato potesse indire le elezioni nel rispetto delle consuetudini nazionali. La partecipazione al voto fu elevata: 90% in Belgio e Lussemburgo, 85% in Italia, 65% in Germania, 60% in Francia. Le percentuali più basse si registrarono in Danimarca, dove votò il 47% della popolazione e nel Regno Unito, con il 32%[5].
La distribuzione dei seggi e il primo Presidente del Parlamento europeo
All’esito delle prime elezioni, i socialisti risultarono il gruppo più numeroso, con 113 parlamentari; 107 i democristiani; 40 seggi andarono ai liberali. Vi erano, poi: i “democratici europei”, un gruppo composto dai conservatori britannici, che ottenne 64 seggi; i “democratici europei del progresso”, raccoglievano il consenso dei gollisti, prendendo 22 seggi; infine, i comunisti italiani e francesi ottennero 44 seggi. Il primo Presidente del Parlamento europeo, eletto da un’assemblea direttamente rappresentativa dei cittadini, fu la liberale francese Simone Veil, a cui succedette, a metà legislatura, il socialista Pieter Dankert[6].
Willy Brandt disse: “Il Parlamento europeo deve essere la voce dell’Europa” e, in effetti, l’elezione diretta dei suoi rappresentati rappresentò un grande passo che rafforzò il peso politico e i poteri di questa Istituzione. Le competenze del Parlamento europeo, infatti, furono inizialmente limitate e vennero progressivamente ampliate nei diversi Trattati, a partire dall’Atto Unico Europeo. Inoltre, l’elezione diretta del Parlamento europeo ha garantito la partecipazione dei cittadini al processo di costruzione dell’Unione Europea, consentendo alla volontà popolare di influenzare la politica europea in modo più incisivo. Sino a quel momento, infatti, il Consiglio dell’UE svolgeva un ruolo cruciale nell’esercizio della funzione legislativa e la politica era determinata principalmente dai governi degli Stati membri e dalla cosiddetta tecnocrazia comunitaria.
[1] Morelli, Umberto, History of European Integration,2019.
[2] Pasquinucci, Daniele. Uniti dal voto? storia delle elezioni europee, 1948-2009. Vol. 13. Franco Angeli, 2013.
[3] ec.europa.eu/public_opinion/index_en.htm.
[4] Galli, Giorgio. I partiti europei: storia e prospettive dal 1649 a oggi. Vol. 352. Dalai editore, 2008; Sani, Giacomo, and Goldie Shabad. “Le famiglie politiche nell’elettorato europeo.” Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 9.3 (1979): 447-465.
[5] https://europarl.europa.eu/election-results-2019/it/risultati-elezioni/1979-1984/sessione-costitutiva/
[6] Cit.