Plot twist: Dorobantu

Una recentissima sentenza della Corte di Giustizia UE in tema di rifiuto di esecuzione di un Mandato d’arresto europeo (MAE) e in caso di rischio di trattamenti inumani o degradanti dovuti alle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente.

In tema di rifiuto di esecuzione di un Mandato di Arresto Europeo (MAE) e in caso di rischio di trattamenti inumani o degradanti dovuti alle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente è senza dubbio interessante segnalare una recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE, pronunciata a seguito di un rinvio pregiudiziale (Causa C-128/18Dumitru-Tudor Dorobantu — del 15 Ottobre 2019).

Nella sentenza in esame i giudici della Corte hanno avuto cura di sottolineare che, al fine di valutare se esistano seri e comprovati motivi di ritenere che il detenuto correrà un rischio reale di essere sottoposto a un trattamento inumano o degradante, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un Mandato d’arresto europeo, ove disponga di elementi oggettivi, attendibili, precisi, attestanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, deve tener conto dell’insieme degli aspetti materiali pertinenti delle condizioni di detenzione (ad esempio, lo spazio personale disponibile per detenuto in una cella tenendo conto dello spazio occupato dal mobilio, le condizioni sanitarie, l’ampiezza della libertà di movimento del detenuto).
Con particolare riferimento allo spazio personale disponibile per detenuto -prosegue la Corte -, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in assenza, allo stato attuale, di regole minime in materia nel Diritto dell’Unione, tener conto dei requisiti minimi risultanti dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se, per il calcolo di questo spazio disponibile, non si deve tener conto dello spazio occupato dalle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve però includere lo spazio occupato dal mobilio. I detenuti devono tuttavia conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella. La sentenza precisa altresì che non ci si deve limitare a controllare le insufficienze manifeste e che, ai fini di tale valutazione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che reputi necessarie e, in linea di principio, in mancanza di prove contrarie, dovrà fidarsi delle sue assicurazioni. Inoltre, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante solo perché la persona interessata dispone, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso per contestare le condizioni della propria detenzione.

In linea con le sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (in particolar modo, sull’interpretazione del concetto dirischio concreto” e di trattamenti disumani o degradanti), e del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria), la presente pronuncia contribuisce alla definizione delle garanzie che devono essere attuate al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona consegnata in forza di un mandato d’arresto europeo in una situazione in cui il sistema penitenziario dello Stato membro emittente soffra di una carenza sistemica o generalizzata. In particolare, l’invito alla Corte posto in essere dal rinvio era quello di precisare l’intensità del controllo a cui l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a procedere al fine di valutare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale sarebbe esposta la persona interessata a causa delle proprie condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, nonché i diversi fattori e criteri che la medesima è tenuta a prendere in considerazione ai fini di siffatta valutazione.

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