In questi giorni la solidarietà locale sembra coincidere con il fallimento o il ritardo delle iniziative europee di solidarietà. Ma questo non significa che la solidarietà europea non possa essere vissuta a livello individuale. Alcuni pensieri sul la necessità di saper ascoltare in un’Europa ai tempi del CoViD-19.
Solidarietà è diventata una parola molto usata in questi giorni: per solidarietà la sera applaudiamo le persone che lavorano nel sistema sanitario, per solidarietà restiamo a casa, per solidarietà facciamo acquisti soprattutto nei negozi locali delle nostre città. Inoltre, nelle ultime settimane si sono formati centinaia di gruppi di solidarietà locali per aiutare le persone ad affrontare la quotidianità – e si potrebbe continuare… Non c’è dubbio che queste storie dimostrano come, nonostante il Coronavirus, le comunitàela società civile non siano affatto in ritirata, ma, al contrario, siano ancora fiorenti e attive.
L’Europa si muove – o no?
Purtroppo, questa è solo una faccia della medaglia. Soprattutto se si pensa all’Europa e alla Comunità internazionale, i momenti brutti e poco solidali di questa crisi si fanno particolarmente chiari: quando manca la solidarietà finanziaria in Europa e i Governi diventano i principali attori di dispute indegne; oppure, quando la gravità della situazione umanitaria nei campi profughi alle frontiere esterne dell’Unione Europea si acuisce sempre più, senza che si trovi una soluzione sostanziale; ancora, quando gli Stati trattengono materiali e strumenti di protezione urgentemente necessari; infine, quando la Commissione europea viene scarsamente ascoltata nelle sue richieste di mantenere aperte le frontiere per la circolazione delle merci e gli Stati nazionali discutono bilateralmente le soluzioni. Tutto questo è una prova della mancanza di solidarietà a livello europeo, che sembra muoversi ancora in maniera troppo lenta. Lo Stato nazionale ha reagito al virus, mentre l’Europa non sembra ancora in grado di tenerne il passo. Il sogno di una “Unione sempre più stretta” sembra molto lontano.
Naturalmente, le notizie positive possono essere elencate non solo a livello locale, ma anche a livello europeo: l’Unione Europea si sta rifornendo congiuntamente di attrezzature di protezione e dispositivi respiratori; si stanno compiendo sforzi sempre maggiori per mantenere le frontiere il più aperte possibile alla circolazione delle merci e dei pendolari; personale e supporto materiale viene inviato agli Stati membri più colpiti, così come singoli Paesi stanno (ancora) mettendo a disposizione posti letto nei propri ospedali per i pazienti provenienti dalle regioni in cui i sistemi sanitari risultano essere sovraccarichi. Ma questo è sufficiente?Oppure l’UE potrebbe fare molto di più? Molti cittadini europei pensano che l’Europa sia capace fare decisamente di più. Un pensiero sulla base del quale nascono petizioni transnazionali come quella italo-tedesca #weareinthistogether.
Nessuna soluzione politica proposta
In questo breve articolo per il blog degli amici dell’OGIE, non voglio occuparmi di possibili meccanismi di solidarietà europea – dai corona-bond alle funzioni speciali del Meccanismo europeo di stabilità all’indennità europea di lavoro a breve termine. Molto è già stato e molto sarà scritto al riguardo nei prossimi giorni. Ci sono certamente persone brillanti che continueranno a contribuire a questi dibattiti – e forse i Governi, dopo svariate discussioni, riusciranno a trovare un compromesso sostanziale.
In termini di solidarietà europea, la mia preoccupazione è diversa. Vorrei richiamare non tanto la solidarietà tra gli Stati, ma quella da cittadino UE a cittadino UE, da persona a persona.
Mentre negli ultimi giorni seguivo la stampa e il panorama dei Social media in Italia e in Germania sono rimasto inorridito da alcune affermazioni e discorsi: quando la parte tedesca si è parzialmente rifiutata di parlare di possibili nuovi meccanismi di solidarietà finanziaria nell’UE, purtroppo ho letto spesso, da parte di italiani (giustamente!) delusi, dichiarazioni piene di risentimento anti-tedesco e anti-europeo. Non si tratta più solo dei “soliti sospetti” intorno a esponenti di partiti sovranisti e nazionalisti, ma anche di Media “seri”, che pubblicano articoli con toni decisamente inappropriati che portano in una direzione assolutamente sbagliata – lontano da un’Europa del futuro comune, verso la forte Nazione del passato come unico “salvatore”.
Anche se sono un cittadino tedesco, non sono il Governo federale – lo stesso vale per molti amici e iniziative della società civile; anche in politica, l’attuale posizione del Governo non è priva di controversie. Lo stesso vale per i miei amici in Italia, che non potrebbero essere più lontani dall’odiare la Germania. Ma queste prospettive trovano solo un ruolo minore nel dibattito pubblico. Invece di discutere insieme quelle che potrebbero essere soluzioni nuove e creative a questa crisi di dimensioni inimmaginabili, si preferisce troppo frequentemente un approccio unilaterale e modesto.Questa non è e non può essere affatto l’Europa. L’Europa funziona solo come “Unità nella diversità”– il che significa assumersi la responsabilità insieme, pur riconoscendo la diversità delle prospettive coinvolte. E, dal mio punto di vista, questo è ciò che ora è sempre più necessario. Dobbiamo ascoltarci, invece di chiedere sempre in modo unilaterale; dobbiamo usare questa crisi per conoscerci meglio nelle nostre differenze.
Crisi di Coronavirus– il momento degli Europe Talks2.0?
Nel contesto delle elezioni europee dello scorso anno, si è tenuta la splendida iniziativa degli Europe Talks: quasi 20 giornali e Media europei hanno mobilitato migliaia di cittadini dell’Unione per discutere le loro opinioni riguardanti la Migrazione, l’Ambiente, l’Economia e altri argomenti. In Italia l’iniziativa è stata diffusa principalmente attraverso La Repubblica e HuffPost Italia, in Germania attraverso il settimanale Die Zeit e il canale televisivo franco-tedesco Arte. Una simile iniziativa è necessaria anche ora, considerato che l’Europa e la solidarietà europea sono spesso scavalcate da questioni nazionali.
La maggior parte di noi è attualmente in contatto telefonico o online con amici e parenti per non lasciare che l’isolamento diventi troppo pesante. Amici – per me questo significa anche molti contatti in Italia. Dal momento che il tempo delle notizie spaventose su CoViD-19 non è ancora un ricordo del passato, è importante ascoltarsi a vicenda. Può trattarsi di un avvertimento, una lezione utile per il presente – imparare dalle esperienze vissute da altri –, ma anche un’idea valida per il futuro. Solo se condividiamo le nostre diverse situazioni, sull’influenza del virus nella nostra vita quotidiana e sulla nostra vita in generale potremo aumentare la comprensione reciproca – al di là delle controversie politiche, ritengo che questa sia una delle questioni decisive per il futuro dell’Europa.
Ascoltarsi invece di farsi sentire
Ho dovuto, per prima cosa, imparare ad ascoltare, soprattutto alla luce di esperienze e impronte sociali differenti. Non è sempre facile –specialmente se ti sei già formato un’opinione su un argomento. Ma si impara qualcosa di nuovo e si può scoprire di aver avuto esperienze simili qua e là, anche se si traggono conclusioni diverse. Ecco perché chiedo: non è forse arricchente se condivido le mie attuali esperienze e il lavoro con i miei contatti e i miei amici italiani e ci incoraggiamo a vicenda? Oppure quando scambio opinioni con un’amica slovacca sulla sua percezione della politica migratoria europea – entrambi potremo successivamente comprendere meglio le posizioni che ciascuno di noi assume? O, ancora, quando – in tempi migliori – parlo con gli anziani di una casa di riposo della città in cui studio delle mie esperienze durante il semestre Erasmus e della loro dimensione europea?
La solidarietà (europea) percepibile in una conversazione personale
Per me, sono proprio queste esperienze che formano un’unità europea. Sono proprio queste esperienze che possono produrre un valore aggiunto (europeo). L’unico problema è che sono uno dei pochi europei che ha avuto le possibilità di fare queste esperienze. In questa crisi esistenziale abbiamo effettivamente bisogno di un segnale di partenza, un invito a cambiare.
Io ritengo che le condizioni tra Germania e Italia potrebbero essere peggiori di quanto non siano in realtà: La comunità italiana in Germania, che nel corso dei decenni è diventata una parte molto amata della Repubblica Federale, può rappresentare la chiave di volta (come è stato recentemente dimostrato in un notevole articolo de La Repubblica); ci sono, però, anche numerosi conoscenti incontrati nel corso di viaggi, vacanze o attraverso contatti professionali. Penso che questo sarebbe un buon momento per scegliere questi contatti e iniziare con un messaggio del tipo: «Come stai adesso (e come sta la tua famiglia)?». Questo interesse personale, l’essere preoccupati l’uno per l’altro, può in certe circostanze essere molto più di un segno di solidarietà che un “Siamo con voi” sul tabloid Bild, certamente ben intenzionato ma ancora superficiale. Non si tratta di costruire qualcosa che ci unisce per forza, ma di rafforzare le connessioni esistenti e personali. Anche in disaccordo su questioni politiche e risposte necessarie. Coloro che si scambiano opinioni su questo disaccordo rimangono in conversazione senza “appiattirsi”. Questo è il presupposto decisivo per un’Europa unita nella diversità, che oggi sembra così lontana. Ascoltiamoci l’uno all’altro, nella solidarietà europea!
Grazie all’Università di Göttingen e grazie anche al blog Eustory HistoryCampus.org, per averci “prestato” Gregor; ci auguriamo di poter ricambiare presto! Un ringraziamento, infine, anche alla Young Inititative on Foreign Affairs and International Relations (IFAIR) per la preziosa collaborazione attivata in questi mesi.