L’Unione Europea come attore mancante nel panorama globale: uno sguardo all’UE e alle più recenti strategie di politica estera di USA, Russia e Cina nell’ambito della pandemia.

L’ Unione Europeaper assumere un ruolo di centralità nel sistema delle relazioni internazionaliper superare la crisi sanitaria, economica e politica, nonché la fase di stallo in atto già da tempo ed esasperata ulteriormente dalla pandemia, deve reagire con una risposta coordinata, mostrando la sua reale coesione.

Lo stallo istituzionale

Il periodo della Guerra Fredda e la fine del mondo bipolare hanno contribuito ad accelerare il processo di integrazione europea che, purtroppo, sembra essersi bloccato alle porte del nuovo millennio. L’UE, infatti, è in una fase di stallo istituzionale che le impedisce di elaborare valide strategie di azione: la prevalenza degli interessi degli Stati membri su quelli comunitari ha impedito, nell’ambito della politica estera, di pervenire ad una linea pienamente condivisa ed efficiente. 

La non efficace gestione di determinati fenomeni, come la globalizzazione (cioè l’interdipendenza mondiale), l’innovazione tecnologica, l’emergere di altre potenze mondiali e di crisi globali, come quella dei mercati finanziari, sono il risultato di quello stallo istituzionale europeo, perdurante ormai da decenni.

Le tre crisi

Tuttavia, l’impasse si fa vero, dannoso e ancora più reale di fronte ad un imponente fenomeno che ha colpito l’Europa in questo nuovo millennio, ossia la crisi migratoria. Attenuata la minaccia finanziaria del 2008, la crisi migratoria si è posta come ulteriore banco di prova della stabilità europea. Dinanzi a tale emergenza, i Paesi europei – già indeboliti dall’austerità dovuta alla crisi finanziaria che investiva il vecchio Continente in lungo e in largo – non hanno adottato politiche comuni con condizioni volte a garantire un’equa distribuzione dei migranti, né un’azione coordinata tra Istituzioni nazionali dei Paesi membri e Istituzioni comunitarie, degne di una crisi di questa «statura». Ad aggravare ulteriormente la gestione di questo fenomeno, gli Stati membri hanno agito arbitrariamente, creando ognuno un sistema di asilo diverso dall’altro e, dunque, sfociando nell’assenza di coordinamento dell’emergenza. 

Recentemente si è poi imposto il tema della crisi climatica mondiale, in atto già da molti anni, ma portata all’attenzione dell’opinione pubblica attraverso il movimento Fridays For Future, fondato nel 2018. Anche di fronte a questa emergenza molti sono stati i progetti teorici, le mobilitazioni e gli impegni delle organizzazioni internazionali e delle ONG, ma poche sono state le azioni concrete dispiegate sul campo da parte degli Stati. In questo caso, il mancato raggiungimento dei risultati auspicati mediante le misure ambientali impattanti per far fronte alla crisi, risiede probabilmente nel fatto che l’emergenza ambientale sembra essere erroneamente percepita, come fosse troppo distante dalla vita di tutti noi.

Ecco, poi, che nel 2020 si assiste alla crisi sanitaria che, per adesso, rimane un interrogativo in ordine agli effetti che da essa deriveranno.

A tali emergenze, si aggiungono i particolari comportamenti internazionali di tre grandi potenze, UsaRussiaCina, che impongono all’UE di agire come attore decisivo e di rilievo a livello globale. 

UE e Stati Uniti

Dopo un 2016 che ha fatto da sfondo all’elezione del Presidente degli USA, Donald Trump, la leadership americana ha invertito la rotta, prediligendo forme di protezionismo rispetto al naturale interventismo internazionale a cui eravamo abituati dalla fine della seconda guerra mondiale. 

Trump, nella sua corsa alla Casa Bianca, aveva sicuramente promesso di correggere gli squilibri dell’economia del Paese. Quest’ultimo è fondamentalmente uno dei motivi della ritirata Usa: l’amministrazione Trump ha adottato una politica commerciale basata sul protezionismo, dimostrandosi sfavorevole al mercato aperto e contro il sistema multipolare; inoltre, ha favorito uno schema di relazioni commerciali bilaterale con i singoli Paesi. In questa strategia, il bersaglio principale è stato la Cina: nel 2018, infatti, gli Stati Uniti hanno attaccato la Cina, in una battaglia commerciale simbolica, attraverso l’aumento di dazi alle importazioni. 

La retromarcia americana ha investito il settore commerciale, così come quello della politica estera: in tale materia, gli Usa hanno optato per un graduale ritiro delle truppe americane dal Medio Oriente o, comunque, per un riposizionamento di quest’ultime, con lo scopo di diminuire la presenza di soldati in quella zona. Dopo l’uccisione di Soleimani, tuttavia, gli Stati Uniti hanno riportato le tensioni mediorientali a livelli altissimi. Per l’Europa questo significa che, nel caso in cui la situazione dovesse diventare insostenibile, il vicino Medio Oriente potrebbe rappresentare un pericolo reale per la sicurezza europea e dei suoi cittadini. 

L’atteggiamento di isolazionismo americano si riflette anche nella volontà di costruire il «great wall»: attualmente, non si sa ancora l’impatto reale delle politiche di Trump in questo senso, ma rimane valida l’idea di un assoluto separatismo del Presidente nei confronti del vicino Messico, nonché del mondo[1]

Inoltre, come naturale conseguenza dei fatti, il ripiegamento statunitense si mostra anche nell’attuale contesto pandemico, in quanto il nostro alleato americano (un alleato che sembra non essere più scontato) ha inviato all’UE un sostegno sanitario la cui attivazione sembra abbia avuto poca risonanza mediatica rispetto ad altri casi di aiuti che, invece, hanno avuto maggiore visibilità anche agli occhi dell’opinione pubblica. 

Gli Stati Uniti di Trump diffidano, infine, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata di aver portato avanti una probabile disinformazione sulla Cina riguardo il coronavirus: infatti, l’inquilino della Casa Bianca, che con il suo Paese è il primo contributore dell’organizzazione internazionale in questione, ha sospeso temporaneamente i finanziamenti versati alla stessa. 

In questo contesto, l’esperienza italiana dimostra come l’aver ridotto i fondi per la sanità negli ultimi anni abbia portato al quasi collasso del nostro sistema sanitario e, difatti, su questa linea di pensiero, si esprime il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres che ha invitato tutta la comunità internazionale a rimanere unita, sottolineando come questo non sia il momento giusto per tagliare le risorse alla sanità mondiale[2]

L’alleanza fra Unione Europea e Stati Uniti non è ormai più scontata: l’esempio più recente è la minaccia di Trump nei confronti dell’UE, che è stata costretta ad applicare misure restrittive all’Iran. Al riguardo, su Internazionalesi legge che: «L’amministrazione Trump ha minacciato l’Europa di imporre una serie di penalità in caso di mancato avvio di una procedura d’infrazione contro l’Iran per violazione dell’accordo sul nucleare. La minaccia, a quanto pare, era precisa: una tassa del 25 per cento sulle importazioni di vetture europee negli Stati Uniti[3]». 

UE e Cina

Spostandosi in estremo oriente, troviamo la Cina, già potenza demografica da lungo tempo, che dal 2013, sotto la guida del Presidente Xi Jinping, ha adottato un atteggiamento di grande apertura economica nei confronti di altri Paesi, con il fine di garantirsi un posto come super-potenza in grado di dominare il commercio internazionale. Agli ulteriori rapporti bilaterali in materia di commercio fra Cina e singoli Stati membri dell’UE (primo fra tutti la Germania), si aggiungono due iniziative che maggiormente cristallizzano la nuova politica estera cinese: la “corsa all’oro dei metalli rari in Africa”[4] e le celebri “nuove vie della seta” (Belt and Road Initiative). Le due strategie dimostrano «le abilità del Presidente Xi di tessere relazioni internazionali soprattutto con Paesi in via di sviluppo. Il suo segreto è offrire ai governi una prospettiva nuova sul futuro, guidata dalla Cina e non dagli Stati Uniti[5]».

La specificità dell’intero progetto di politica estera cinese risiede nella Cina stessa. Nell’ambito delle sue relazioni commerciali, la Cina investe ingenti quantità di denaro senza porre alcun vincolo in capo allo Stato in favore del quale vengono impiegati i fondi. Diversamente, l’Unione Europea fa della politica di condizionalità il suo principale parametro nelle relazioni con i Paesi in via di sviluppo, richiedendo loro di adottare standard politici specifici, al fine di beneficiare dei proventi derivanti da quegli investimenti. Ciò, chiaramente, pone l’UE in una posizione di svantaggio rispetto alla Cina.

Altro fattore che contraddistingue il governo della Repubblica Popolare Cinese è il suo carattere non-democratico e il fatto che sia basato su un sistema politico monopartitico. Un sistema che, non per questo, non predilige un approccio capitalistico di grandi aperture economiche. Tuttavia, Pechino ha eliminato la regola del limite dei due mandati presidenziali, assicurando potenzialmente una posizione di controllo all’attuale Presidente fino alla sua morte; impone politiche di condizionamento e di stretto controllo sui costumi delle minoranze religiose; utilizza le tecnologie più avanzate per monitorare attentamente i cittadini e rinsaldare il controllo della società e dell’opinione pubblica; è strutturata, come sopra accennato, su un unico partito, con la possibilità di crearne altri, purché questi cooperino con il partito centrale senza così formare un’opposizione. 

L’atteggiamento espansionistico a grandi tappe della Cina, oggi uno dei principali partner europei – ma domani, forse, potenziale rivale – si trasforma, nell’attuale contesto pandemico – così vulnerabile ma, al contempo, terreno fertile per la lotta al potere – in un fattore di creazione di alleanze e interdipendenze internazionali filo-cinesi sempre più forti. Nell’ambito della crisi epidemiologica, la Cina è intervenuta fornendo un significativo appoggio al settore sanitario europeo, soprattutto a quello italiano. 

Gli Stati Uniti (già ritirati nei suoi confini territoriali) e l’UE (che, a causa della sua disfunzione istituzionale, ha inizialmente vacillato nel fornire il suo sostegno ai Paesi duramente colpiti dalla pandemia) hanno lasciato un spazio di azione che, vuoi per spirito di umanità, vuoi per logiche di interesse nazionale, la Cina sta piano piano colmando. Il Governo cinese, tuttavia, che fuori dai suoi confini mostra la sua più grande solidarietà nei confronti di chi lotta contro la pandemia, è lo stesso che, per paura del contagio di ritorno da coronavirus, ha sul suo territorio discriminato gli africani, sfrattandoli dalle proprie case da un momento all’altro e mettendo a rischio le alleanze diplomatiche e commerciali che, da qualche anno, ha costruito con alcuni Paesi dell’Africa[6]

UE e Russia

La necessità che l’Unione Europea agisca quale attore unico ed incisivo sul piano internazionale è resa ancor più evidente in rapporto all’azione della vicina Russia che, dopo la fine della Guerra Fredda, sta progressivamente riacquistando il suo peso politico a livello globale. L’UE ha applicato misure restrittive alla Federazione Russa, sia in risposta alla sua operazione di annessione illegale della Crimea, sia a causa degli interventi che hanno contribuito alla destabilizzazione dell’Ucraina. Le sanzioni economiche e le misure diplomatiche a cui è sottoposta la Russia, tuttavia, non hanno bloccato la sua azione di interferenza in altri Paesi: Putin si avvale della propaganda come vero e proprio strumento di politica estera.

Nei confronti degli Stati soggetti all’influenza del Cremlino, le tecniche mediatiche dispiegate concretamente sul campo riguardano il discredito degli oppositori e il disorientamento dell’opinione pubblica: tali strategie stanno avendo un effetto di frattura all’interno di molti sistemi politicamente e culturalmente considerati stabili. Nell’era dei social, queste tecniche circolano e agiscono attraverso il web, offrendo informazioni deviate (fake news) che colpiscono spesso l’immagine pubblica dell’avversario e i valori di cui esso si fa portavoce.

La Russia – con il suo tentativo di dominio internazionale posto in essere mediante finanziamenti selettivi per influenzare i processi elettorali, con le sue operazioni di blocco delle informazioni utilizzabili dal “nemico”, con i suoi interventi volti a distogliere l’attenzione dalle questioni effettivamente rilevanti e a creare disinformazione generale – ha contribuito ad indebolire il sistema politico e culturale dell’Unione Europea, già molto vulnerabile a causa dell’attuale crisi del processo di integrazione e degli egoismi riflessi nella risposta alla pandemia. 

La Federazione Russa è alla ricerca di nuove forme di alleanze e/o di un rafforzamento di quelle già esistenti. Considerata la situazione di stallo causata dall’incapacità di affrontare efficacemente la pandemia, anche la Russia, attraverso il suo esercito, ha inviato massicci sostegni all’Italia, approfittando del vuoto dovuto al ritardo con cui sono intervenute le Istituzioni europee e all’apparente mancato supporto dell’amministrazione americana. 

Solidarietà

In molti si chiedono se questi aiuti forniti da Pechino e Mosca siano davvero delle forme di solidarietà senza secondi fini. Solo il tempo potrà dircelo; intanto, però, resta il fatto che, di fronte a questo grande interrogativo, ciò che importa davvero è la gestione dell’emergenza in corso: c’è infatti bisogno, ora più che mai, di una risposta globale caratterizzata dalla solidarietà, che può e deve provenire anche dall’UE.

In particolare, dato il disimpegno statunitense e l’avanzata dell’asse russo-cinese, l’UE dovrebbe vedere questo momento di emergenza come una possibilità per recuperare terreno, superando così l’attuale fase di stallo. In tal senso, la costruzione di un’effettiva metodologia di re-azione coordinata fra tutti gli Stati Membri per fronteggiare la pandemia non si configurerebbe come uno scenario troppo distante da noi, proprio perché questo è il momento in cui, almeno dal punto di vista ideale, l’interesse principale dell’Unione – ossia la tutela della salute dei cittadini europei – è perfettamente allineato con quello dei suoi Stati membri.

L’architettura europea ci consente di raggiungere compromessi ambiziosi per rispondere, in modo funzionale, alla maggior parte delle emergenze. Il coordinamento fra i Governi nazionali, nell’ambito delle Istituzioni dell’UE, è necessario per superare i problemi interni al sistemaper pensare ad un rilancio dell’Unione nel panorama internazionale, dal momento che, soprattutto in questo periodo storico, il contesto geopolitico è in divenire. Da sempre, l’obiettivo dell’Unione Europea è stato quello di non lasciare nessuno indietro: durante la pandemia questa propensione è più necessaria che mai.

Il bene comune prioritario

I singoli Paesi membri e i cittadini dell’UE devono considerare come imprescindibile la prosecuzione del progetto politico europeo, da ritenersi quale bene comune prioritario. In tal senso, le ottiche sovraniste si scontrano con il più alto interesse comunitario e, dunque, devono essere abbandonate, perché non funzionali per il progressivo sviluppo dell’Unione. 

Il rilancio del progetto europeo risulta necessario per consentire all’UE di assumere un ruolo determinante nel panorama geopolitico e per contrastare le aspirazioni egemoniche delle grandi potenze presenti nell’attuale contesto globale: in linea con l’approccio funzionalista, il processo di integrazione può progredire a piccole tappe, ma deve comunque guardare avanti. In quest’ottica, l’esperienza della Brexit non va intesa quale precedente che legittimi una progressiva disgregazione dell’UE, quanto piuttosto come un monito che induca l’Unione e i suoi Stati membri allo sviluppo di rinnovate strategie.

Responsabilità

Durante la pandemia, ogni soggetto della comunità mondiale (dai governatori di organismi internazionali, nazionali e regionali, fino alla società civile) si trova dinanzi alla sua più grande sfida: la responsabilità. Troppo spesso governanti e opinione pubblica hanno rimandato il loro dovere, che consiste rispettivamente nella responsabilità di decidere e in quella di influenzare attivamente gli eventi, lasciando così spazio ad una mentalità più banale, che scarica compiti e adempimenti – invero improrogabili – alle generazioni future. Il periodo storico in cui ci troviamo, invece, è definibile come il momento della responsabilità di decidere da una parte e di agire prontamente dall’altra: la pandemia non ammette ritardi in tal senso.

Per concludere, è utile ricordare come «la proposta di unione era stata avanzata da uomini indipendenti dai partiti, come Monnet, e recepita da statisti, come Churchill e de Gaulle, che ebbero il coraggio in un momento difficile per i rispettivi paesi di cercare soluzioni innovative, anche se non coincidenti con i propri convincimenti[7]». Oggi, i leader degli Stati membri devono assumersi la responsabilità di rilanciare il progetto politico europeo nel modo più ambizioso possibile: questo avrà sicuramente un effetto positivo che, oltre a garantire il superamento dell’attuale emergenza sanitaria e, soprattutto, della crisi del processo di integrazione, si rifletterà nel recupero della centralità del vecchio Continente negli assetti geopolitici internazionali. 


[1]https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trump-tracker-gli-usa-e-il-mondo-tre-anni-dopo-24360

[2]https://www.agi.it/estero/news/2020-04-15/coronavirus-trump-finanziamenti-oms-8337591/

[3]https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/01/17/trump-alleati-iran

[4]https://www.ilsole24ore.com/art/cosi-cina-guida-nuova-corsa-all-oro-metalli-rari-africa-AEjiOt0D

[5]https://www.orizzontipolitici.it/il-nuovo-dittatore-cinese-xi-jinping/

[6]https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/04/13/cina-razzismo-africani-coronavirus

[7]Umberto Morelli. Storia dell’integrazione europea, Edizioni Angelo Guerrini e Associati Srl, Milano, 2011, p.33

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