Il 15 marzo scorso si è svolto “Europa dei Valori”, il primo dei tre workshop promosso dall’Osservatorio Germania-Italia-Europa (OGIE), in collaborazione con la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) e la Rappresentanza in Italia della Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS). Hanno preso parte all’incontro Rocco Buttiglione, professore di Filosofia della politica della Pontificia Università Lateranense (PUL) ed ex membro del Parlamento europeo, e Markus Krienke, docente ordinario di Storia della filosofia moderna e di Etica sociale presso la Facoltà di Teologia di Lugano, nonché professore incaricato di Antropologia filosofica presso la PUL. Per conto dell’Osservatorio, ha preso la parola Thomas Schaumberg, dottorando in Storia antica presso la “J. W. Goethe” Universität di Francoforte. Il workshop, in videoconferenza con il Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo, è stato moderato da Nicolò Passalacqua e Federico Maria Santilli.
Il percorso di studio e approfondimento intrapreso quest’anno dai ragazzi dell’OGIE, ha spiegato, introducendo i lavori, Tiziana Di Maio, presidente del Corso di Laurea magistrale in Relazioni internazionali e co-direttrice dell’OGIE, «si concentra e parte da una riflessione sui valori fondanti e comuni dell’Unione Europea». Obiettivo di quest’anno: l’elaborazione di un Appello che richiami i cittadini e gli Stati membri dell’Unione alla costruzione del progetto europeo. Un progetto importante e necessario. Lo sapevano bene gli statisti e i leader politici europei (soprattutto quelli di ispirazione cristiana) che, all’indomani del secondo conflitto mondiale, diedero vita all’organizzazione Nouvelles Equipes Internationales – primo nucleo da cui, dopo una serie di trasformazioni, nel 1976 nascerà il Partito popolare europeo (PPE). Il breve ma incisivo motto di questa organizzazione che riuniva i partiti cristiani d’Europa recitava: “Fare l’Europa, o morire!”. «A tutti loro era chiaro che l’Europa unita avrebbe significato la sopravvivenza per quel Vecchio continente devastato dalla guerra», ha ricordato la professoressa, che ha incalzato gli intervenuti chiedendo: «Quanto è sentito e condiviso oggi questo motto? Da dove ripartire? Quale potrebbe essere la nuova forza centripeta in grado di spingerci a rafforzare l’UE, vincendo quindi le forze centrifughe attualmente prevalenti?».
Quello dei valori è un tema troppo spesso «usato in maniera retorica», ma che, come ha sottolineato il professor Marco Evola, docente di Diritto dell’UE e di European Union Law presso la LUMSA di Palermo e co-coordinatore dell’OGIE, è profondamente «legato al futuro dell’Unione e alla capacità di quest’ultima di risolvere la crisi profonda che sta affrontando». La parola “crisi” campeggia ormai quotidianamente sui giornali: la troviamo quasi sempre associata a termini o espressioni legate all’ambito economico, come “debito pubblico”, “Prodotto interno lordo” o “disoccupazione”. Tuttavia, la crisi generata dalla messa in discussione dei valori fondanti dell’UE «non si misura attraverso indicatori economici e statistici», ha affermato Caroline Kanter, direttrice della KAS-Italia. Quella che l’UE sta attraversando è anzitutto «una crisi identitaria che colpisce non solo il livello sovranazionale, ma anche quello nazionale».
Una crisi che trova la sua manifestazione più evidente nel consenso e nell’appoggio dato da un gran numero di cittadini – e, cosa ancor più preoccupante, da molti giovani – a movimenti e partiti populisti. Questi partiti hanno un così grande successo perché sono in grado di ascoltare «il lamento della gente», di ripeterlo e intensificarlo, talvolta anche aggiungendo notizie non del tutto vere. Poco importa, poi, che la loro non sia «una strategia coerente e fondata su dei valori»; che cambino opinione dal giorno alla notte; che le promesse che fanno e le soluzioni che propongono siano di fatto irrealizzabili, poco lungimiranti nonché insostenibili. Inevitabilmente l’opinione pubblica, poco formata e informata sulle questioni dell’UE, ascolterà chi è capace di parlare alla sua pancia, di dar voce ai suoi bisogni e di accontentarla.
A questo punto, è lecito chiedersi il perché di questa mancanza di informazione e formazione da parte dei cittadini europei. Sono gli affari europei a suscitare poco interesse nel pubblico, oppure è l’Unione a non sapersi raccontare? La risposta sta nel mezzo. Da una parte, è innegabile che le notizie relative all’UE ruotino «attorno a elementi molto tecnici di legislazione e regolamentazione, per esperti», spesso complessi e noiosi per il grande pubblico; dall’altra, è un fatto che l’UE sia ancora «raccontata con lenti nazionali», con una prospettiva che tende a far risaltare soprattutto «le storie e le notizie […] riguardanti la politica o gli interessi locali». Non che manchino media e agenzie propriamente “europei”: si tratta, però, di mezzi di comunicazione e piattaforme poco note a un’audience di non addetti ai lavori[1][2].
Cosa fare, dunque? Quanto detto implica necessariamente l’impossibilità di fare del giornalismo sull’Unione Europea? Probabilmente no. Bisognerebbe, invece, cogliere la sfida lanciata dalle summenzionate difficoltà e proporre soluzioni creative che, attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla “rivoluzione tecnologica”, riescano non solo a rendere appetibili e il più possibile accessibili al grande pubblico i contenuti e le tematiche comunitarie, ma anche a promuovere i media “europei” già esistenti. A ciò si aggiunge la questione formativa, particolarmente cara all’OGIE, che in più di un’occasione ha proposto che gli Stati membri, implementino un’“educazione civica europea” sulla base di un input da parte dell’Unione che, in materia di istruzione, detiene l’esercizio del potere di raccomandazione[3]; un’educazione civica europea che contribuisca al consolidamento dell’identità europea e del senso di appartenenza a una famiglia culturale comune. Tenendo in debita considerazione tanto l’aspetto comunicativo, quanto la dimensione formativa, si potrebbe, dunque, favorire la creazione di «un compiuto spazio pubblico europeo», quindi di uno spirito[4] e di un demos europeo, che coinvolga tutti i cittadini allo stesso modo[5].
«Quello di demos non è un concetto etnico», ha rilevato il professor Buttiglione, che, ricorrendo a uno dei suoi numerosi cenni storici, ha spiegato: «Il demos degli ateniesi nasce dal convergere di diversi gruppi etnici, che a un certo punto decidono di diventare una cosa sola». Gli ha fatto eco il professor Krienke che, dopo aver definito il concetto di demos come quella «dimensione secondo cui ogni cittadino percepisce l’altro come suo concittadino», lo ha legato al principio di solidarietà, a quello «stare insieme, sentire insieme e operare congiuntamente per la realizzazione di un progetto comune». Interessanti i suggerimenti che il docente di Lugano ha avanzato per innescare un movimento che parta dal basso, dai cittadini; suggestioni che potrebbero idealmente completare quelle poc’anzi menzionate: «Una più alta mobilizzazione dei contatti fra le persone», cui affiancare l’incentivazione della dimensione formativa, soprattutto quella fornita dai partiti e, in particolare, dalle famiglie partitiche europee.
«All’interno di queste famiglie europee il dialogo non procede lungo linee ideologiche, ideali e valoriali»; ciò che prevale sono, al contrario, le prospettive e gli interessi nazionali, spesso incompatibili tra loro. Ne consegue una certa complessità nella comunicazione interpartitica all’interno di ciascuna famiglia, che comporta l’impossibilità di giungere a un compromesso (nell’accezione di cum-promittere, ‘promettere insieme’) o trovare un accordo. Tale situazione – già rilevata dalla proposta redatta dall’Osservatorio lo scorso anno – potrebbe essere risolta semplicemente dando attuazione a quanto già previsto dai Trattati[6], favorendo, quindi, la creazione di partiti politici europei transnazionali, che potrebbero fungere da strumenti per lo sviluppo di una coscienza politica europea[7], oltre che svolgere un ruolo di «volani del processo democratico».
«L’articolo 10 comma 1 del Trattato sull’UE sottolinea che il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, un valore da riscoprire, anche a livello nazionale», ha dichiarato la direttrice Kanter, opponendo questa forma di democrazia a quella diretta, patrocinata dai movimenti e partiti populisti e secondo la quale «ogni decisione deve essere legittimata dai cittadini». «I nostri decisori politici sono già legittimati mediante il voto», che li rende responsabili tanto nei confronti dei cittadini quanto del Paese che sono chiamati a rappresentare e amministrare. Quella rappresentativa, tuttavia, non è l’unica forma di democrazia che i Trattati dell’Unione prendono in considerazione: grazie all’introduzione di istituti specifici (tra questi, il diritto di iniziativa per i cittadini), oggi si dà rilevanza anche all’idea della democrazia partecipativa, che chiama in causa i cittadini e le organizzazioni della società civile. Tale principio, sancito all’articolo 11 del Trattato di Lisbona, non solo stabilisce una «complementarietà tra democrazia rappresentativa e partecipativa»[8], ma anche il passaggio dal “semplice” government alla governance, che richiede l’integrazione delle attività di governo con quelle dei cittadini e delle organizzazioni rappresentative. «L’Unione Europea ha bisogno che i suoi cittadini vengano coinvolti nella vita delle istituzioni», ha ribadito Evola, «perché questo significa renderli partecipi di un processo al quale spesso sono rimasti estranei».
Considerata la profondità raggiunta dal processo di integrazione, «non è più possibile eludere il tema dei valori», perché si rischia di lasciare campo libero alle forze populiste e ai loro tentativi di distruggere la costruzione europea «che è importante, anzitutto perché ha garantito la pace», ha aggiunto Evola. È fondamentale che siano soprattutto i giovani, ossia il futuro dell’UE, a sviluppare la consapevolezza della rilevanza di questi valori. «Bisogna riscoprire i valori e non inventarsene di nuovi. O si riscoprono i valori, oppure gli interessi non ci terranno a lungo insieme. I valori non si inventano e non cambiano», ha concluso Buttiglione. «I giovani hanno il diritto di sperimentare idee nuove, ma devono conoscere la storia», perché l’assenza di memoria porta inevitabilmente a commettere gli stessi errori del passato. Quegli stessi errori che ci eravamo promessi di non ripetere «mai più».
[1]Si vedano Euractiv, Euobserver, Agence Europe, cui si affiancano i grandi media anglosassoni come The Economist, Financial Times e politico.eu.
[2]Giovanni Collot, “Raccontare l’Unione Europea tra élites e sfera pubblica”, in Aspenia online <https://www.aspeninstitute.it/aspenia-online/article/raccontare-l%E2%80%99unione-europea-tra-%C3%A9lites-e-sfera-pubblica> [ultima cons.: 19.3.2018].
[3]OGIE, Proposta finale. Sessant’anni dopo i Trattati di Roma: quale Europa?, aprile 2017 <https://ogieweb.files.wordpress.com/2017/06/propostafinaleogie.pdf> [ultima cons.: 21.3.2018].
[4] Così, in un discorso rivolto ai professori e agli studenti del Collège d’Europe di Bruges, papa Pio XII chiariva il concetto di “spirito europeo”: «[…] s’affirme l’exigence de ce qu’on appelle l’esprit européen, la conscience de l’unité interne, fondée non point sur la satisfaction de nécessités économiques, mais sur la perception de valeurs spirituelles communes, perception assez nette pour justifier et maintenir vivace la volonté ferme de vivre unis» (trad. it. «[…] S’afferma l’esigenza di ciò che prende il nome di spirito europeo, ovvero la consapevolezza dell’unità interna, fondata non sul soddisfacimento delle necessità economiche, ma sulla percezione di valori spirituali comuni, sufficiente a giustificare e mantenere viva la ferma volontà di vivere uniti». Pio XII, Discours du Pape Pie XII aux professeurs et élèves du collège d’Europe de Bruges (Belgique), 15.03.1953 <http://w2.vatican.va/content/pius-xii/fr/speeches/1953/documents/hf_p-xii_spe_19530315_college-bruges.pdf> [ultima cons.: 7.01.2016]).
[5]Giovanni Collot, cit.
[6]Si veda, in particolare, l’articolo 223 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), che invoca l’elaborazione di una procedura elettorale uniforme.
[7]Cfr. paragrafo 4 dell’articolo 10 del Trattato sull’UE (TUE).
[8]Comitato economico e sociale, La democrazia partecipativa in 5 punti, 2011 <https://www.eesc.europa.eu/resources/docs/pd-in-5-points-it.pdf> [ultima cons.: 24.3.2018]